Visioni

«Quell’estate con Irène», riemergere dalla malattia per tuffarsi nella vita

«Quell’estate con Irène», riemergere dalla malattia per tuffarsi nella vitaUna scena da «Quell’estate con Irène»

Al cinema Il nuovo film di Carlo Sironi arriva nelle sale dopo la presentazione alla Berlinale. Due giovani (Maria Camilla Brandenburg e Noée Abita) tra l’ombra del cancro e la voglia di recuperare il tempo perduto

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 30 maggio 2024

Clara incontra Irène. Hanno diciassette anni e risiedono entrambe in un sanatorio, così lo chiameremmo se pensassimo alla Montagna incantata di Thomas Mann, senza includervi per forza Hans Castorp, Settembrini, Naphta e tutti i personaggi che popolano il Berghof. Un luogo sospeso in un tempo che non passa o che potrebbe improvvisamente subire un’accelerazione, tra l’essere e il non essere, tra il congedo da una pericolosa malattia e l’ipotesi di un suo temuto ritorno. Finite le terapie, le pazienti ricevono dal personale poche indicazioni: non stancarsi troppo, mettere le creme che proteggono dal sole. E poi le varie attività, il disegno, l’equitazione e altro ancora per riconquistare, forse, una stabilità più psicologica che fisica. Per la mente, il cancro è là, come un’ombra dalla quale è difficile separarsi.

ALLE DUE NUOVE amiche, bastano poche parole sul bordo di una piscina per intendersi, per riconoscere un senso comune, per provare a riafferrare la propria esistenza deviando dal percorso prestabilito, per vincere la malinconia di ciò che non si è mai sperimentato, per appropriarsi di un passato con dei freschi ricordi da esibire, se non agli altri, almeno a se stesse.
«Tu ci pensi a tutte le cose che non hai mai fatto?» chiederà più avanti Irène. «In questi due anni? – replica Clara –. Sì, a tutte le cose che gli altri facevano e io non potevo. Più che pensarci me lo immaginavo, soprattutto di notte quando non riuscivo a dormire. Stavo lì distesa al buio con la sensazione di sparire, convinta che il giorno dopo mi avrebbero detto che hai solo due mesi di vita». La memoria è colma di fantasmi che impediscono l’afflusso di esperienze e il caotico sovrapporsi di sensazioni.

Presentato alla Berlinale di quest’anno nella sezione Generation 14plus, Quell’estate con Irène di Carlo Sironi è un film che non eccede nei toni, nonostante le giovani protagoniste (ottimamente interpretate da Maria Camilla Brandenburg e Noée Abita) si trovino sull’orlo di un precipizio e debbano affrontare prematuramente l’idea della morte. Le loro voci sottili si confondono col rumore delle foglie, con il vento dell’isola di Favignana, il luogo dove Clara e Irène, con spirito di autodeterminazione, si dirigono per essere autenticamente nel mondo.

L’ASSENZA degli adulti, di smartphone (siamo nell’estate del 1997 con monete e schede per i telefoni pubblici), di conflitti che non siano il decidere se accettare o meno l’invito a una gita in barca o a una spaghettata notturna, sposta tutta l’attenzione sulla relazione di due ragazze che desiderano attraversare il presente. La malattia e quell’immobilità dettata dall’attesa di un’analisi e di parere medico, non scompaiono, sono ben visibili, ma tenute sullo sfondo. In primo piano, i giochi, i sorrisi, i tuffi, i piani che cambiano perché gli amici dell’isola bussano alla porta con nuovi progetti. Niente di eccezionale, eppure tutto così straordinario.

Come in Sole, l’opera prima che Sironi presentò alla Mostra del Cinema di Venezia (Orizzonti) nel 2019, anche in Quell’estate con Irène lo sguardo intercetta un incontro imprevisto che cambia le regole di un gioco deciso sistematicamente da altri. Ma se in quell’esordio pesavano le trappole ordite da un contesto spietato, in questa seconda regia, paradossalmente, la claustrofobia molla la presa e si respira, si irrompe nella vita con tutta la leggerezza che quella situazione estrema permette. Perché nelle ansie che producono insonnia, nei timori di chi si affaccia a qualcosa di mai provato, nella paura che si debba ricominciare da capo con terapie, cure e degenze, si può sempre creare lo spazio per iniziare, dunque per esistere. Clara e Irène non fuggono, non cercano riparo dalla fine, a costo di scottarsi, escono allo scoperto.

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