Cultura

Quelle voci dissonanti tra clandestinità e contraddizioni

Quelle voci dissonanti tra clandestinità e contraddizioni

MOSTRE Urss 1917-1990. Fino all’8 marzo in mostra a Roma «Dalla censura e dal samizdat alla libertà di stampa»

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 24 febbraio 2017

La recente condanna di Aleksej Navalnyj a cinque anni con la condizionale per appropriazione indebita, rischia di eliminarlo dalle presidenziali del 2018 e suscita dubbi sulle reali motivazioni della sentenza. L’eliminazione degli oppositori politici mediante accuse improbabili e condanne sproporzionate, ci riporta ad anni passati, a un modus operandi adottato per anni in Urss e ci dimostra che il dissenso non è, per fortuna, morto con lo stato sovietico, anche se nella coscienza generale rimane legato al movimento nato nella seconda metà degli anni 60, quando dopo la morte di Stalin e la breve parentesi del disgelo chrusceviano, sempre più persone si rifiutarono di sopportare le ingiustizie e le menzogne del potere.

Diventano sempre più attuali in questo momento le pratiche del movimento di resistenza non violento descritte nelle memorie dei suoi più importanti rappresentanti (Andrej Sacharov, Andrej Amal’rik, Vladimir Bukovskij, Natan Saranskij, Lev Kopelev, ecc.), tuttavia è importante fissare i ricordi anche dei dissidenti che sono ancora fra noi, perché non si perda la memoria di nessuno di loro. Non solo per rispetto alle persone, alle idee, che da trenta, quaranta, cinquanta anni, sono alla base della cultura democratica in Russia, ma anche per chi oggi si batte per la società civile, per chi fa di tutto perché si parli della sua esistenza in Russia.

MA IL DISSENSO aveva una natura politica? E perché dopo il crollo dell’Unione Sovietica quasi tutte le sue figure principali sono rimaste escluse dal nuovo potere, non sono entrate nelle strutture statali e non hanno cominciato a costruire il nuovo paese? Si tratta di due questioni strettamente legate a cui cercano di rispondere, con singolare coincidenza, una mostra e un libro.
La mostra, Dalla censura e dal samizdat alla libertà di stampa. Urss 1917-1990, fa tappa all’Università Sapienza di Roma dal 27 febbraio all’8 marzo (Atrio di Villa Mirafiori), dopo essere stata inaugurata a Mosca e poi esposta alla Sorbona di Parigi e all’Università degli Studi di Milano. Il libro del filologo e giornalista Gleb Morev, Dissidenti, un progetto della Fondazione Heinrich Böll e del sito Colta.ru, raccoglie venti conversazioni con partecipanti al movimento della dissidenza in Urss.

LA MOSTRA, organizzata da Memorial Mosca e dalla Biblioteca Statale di Storia della Federazione Russa, a cura di Boris Belenkin e di Elena Strukova, e il cui progetto grafico si deve a Pëtr Pasternak, presenta con inedita ricchezza di immagini i protagonisti e i documenti dell’opposizione al regime sovietico, dando ampio risalto figurativo a un fenomeno storico unico nel suo genere, il Samizdat, che costituì un canale di distribuzione clandestino e alternativo di scritti illegali, censurati o ostili al regime sovietico. La svolta del 1989-1991 deve molto ai protagonisti di questa fervida stagione. Il libro di Gleb Morev pone tutta una serie di domande che parrebbero semplici ma non lo sono, dal ruolo della cultura al significato di liberalismo e mostra che molti temi sono stati in un certo senso congelati, non elaborati, dopo il crollo dello stato sovietico. Quasi tutti gli intervistati affermano che la dissidenza non fu un movimento politico, ma piuttosto una forma di resistenza etica alla politica come tale, di totale rifiuto, per questo le loro voci vennero soffocate dal fragore del nuovo che avanzava, che ha purtroppo ereditato molte caratteristiche dello stato sovietico.

MOREV scrive un libro di storia orale, dirigendo un coro dove ci sono voci dissonanti, in cui qualcuno contraddice un altro o uno stesso avvenimento viene visto in modo diverso. Il modo in cui i fatti vengono presentati dai vari interlocutori rende particolarmente importante questo libro che raccoglie le voci di dissidenti piuttosto noti (con esclusione di quelli appartenuti a gruppi nazionalisti) per la prima volta, perché prima d’ora erano stati dimenticati.

IL LIBRO e la mostra ristabiliscono una memoria che non va dimenticata ma sempre tenuta viva. Alla fine si prova però un grande rimpianto per le occasioni perdute, perché l’esperienza dei dissidenti, il loro senso etico, avrebbero dovuto essere attuali durante la perestroika. Perché nel momento in cui si cominciava a costruire una nuova realtà post sovietica, quelle idee, quelle lotte, quelle discussioni, avevano un rapporto diretto con ciò che stava accadendo. Erano attuali ma vennero colpevolmente ignorate.

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