Il primo dei molti pregi di Femminismi contro. Pratiche artistiche e cartografie di genere (Meltemi, pp. 260, euro 20,00) a cura di Elvira Vannini nasce dalla scelta dei saggi, alcuni tradotti o resi accessibili in italiano per la prima volta, ordinati in una prima parte, Differente e molteplice, e una seconda, Storie e cartografie di genere.
Ciascun saggio tesse una rete con quello che lo precede e quello successivo. Si è in una visione collettiva capace anche di trasformare la storicizzazione in una sincronia di pensieri, sguardi, pratiche e relazioni che risolve la frase di Carla Lonzi messa ad apertura del volume, «Il movimento femminile non è internazionale, ma planetario». Un libro in cui locale e globale si esprimono simultaneamente e si costituiscono reciprocamente segnalando l’azione sincronica di tempi eterogenei.

L’INTERROGATIVO da cui parte Vannini e che si articola, scioglie e ricompone nei saggi senza volontariamente giungere a una sintesi ma semmai a una reciproca alterazione, è se vada scritta un’altra storia dell’arte e della critica femminista diversa e parallela oppure vada capovolta dall’interno una cartografia che si ritiene canonica perché esatta affinché lo spiazzamento procurato sia capace di rompere un assunto che è fondamentalmente falso. Per tenere il termine cartografia è come quando agli europocentrici viene messo davanti un planisferio che ha al centro l’Oceano Pacifico, non si riesce a collocarsi con rapidità su quella carta, non si appartiene a quella rappresentazione.

A scrivere una storia, tracciare cartografie alternative si potrebbe correre il rischio di accettare la logica di essere «altro», ma nel senso gerarchico, patriarcale e occidentecentrico. Al tempo stesso aggiungere semplicemente a ciò che è stato scritto e soprattutto praticato delle visioni alternative sarebbe quel «compito minimo immediato» che Rosa Luxemburg pensava giustamente avrebbe portato a una tragica sconfitta. Poiché l’aggiunta sarebbe sempre non tanto al margine, luogo ricco, ribelle, desiderante, fertile di relazioni e mutamenti di prospettive, ma marginalizzata dal canone che ha come coordinate apparentemente neutre il capitalismo e il patriarcato bianco – entrambi violentemente normativi. Di fatto quell’aggiunta sarebbe assuefatta e ridotta a exempla.

ESISTE UNA TERZA possibilità che i vari saggi scelti dalla curatrice ricostruiscono con precisione. La possibilità è entrare in quella narrazione inaccettabile e da rifiutare facendo saltare ogni presunto ineccepibile presupposto canonico. L’intervento femminista sulla storia dell’arte e soprattutto sulle modalità epistemiche della critica d’arte era già una questione posta da Carla Lonzi nei suoi lontani interventi su marcatre dove veniva definito un’irruzione catastrofica, cioè un imprevisto rovesciamento.

BISOGNA DARE VITA a una sfida traumatica per usare la parola di Griselda Pollock che abbia la capacità di mettere in contemporanea e ovunque in discussione tutto, «invalidare il Soggetto Unico, l’eurocentrismo, la colonialità del potere, il capitalismo e la sua matrice di dominio, attraverso un contro-soggetto situato, molteplice e fuori posto».
I fenomeni che invisibilizzano tanto la pratica artistica, come quella critica in quanto pratiche politiche, sono sincronici e non è possibile destrutturarli secondo una sorta di linearità temporale.
La riscrittura deve cominciare dalla coimplicazione, come la definì Mohanty, per superare la colonialità del genere e la messa in discussione tanto più è fuori posto, tanto più deve partire da ogni luogo, come indica la coralità di questo volume.

* Il libro sarà oggi al festival Testo di Firenze, oggetto di un laboratorio femminista, «Why don’t you show your anger?», alle ore 17, Sala Munari 2, presso la Naba.