Quelle illusioni disattese della piccola borghesia
Cultura

Quelle illusioni disattese della piccola borghesia

Narrativa italiana «Centomilioni», il romanzo d’esordio di Marta Cai, edito da Einaudi
Pubblicato più di un anno faEdizione del 6 luglio 2023

Centomilioni, edito da Einaudi (pp. 144, euro 14,50), è il titolo del romanzo d’esordio di Marta Cai, autrice piemontese già scrittrice di racconti. Rimanda all’idea diffusa negli anni ’90 secondo la quale chi possedeva cento milioni di lire era ricco. Si trattava di un’illusione della piccola borghesia, dissoltasi definitivamente con l’avvento dell’euro che ha trasformato quella cifra così carica di valore simbolico in qualcosa di un ordine di grandezza decisamente minore: «a dirli in euro gli sembrano pochi».

IN QUESTO BREVE romanzo a possedere cento milioni sono tra i personaggi peggiori del microcosmo narrato da Cai: «il Vecchio Porco» e i genitori di Teresa, detta Tére, che in qualche modo ricorda la professoressa Gloria Rosboch protagonista del fatto di cronaca nera avvenuto a gennaio del 2016: la donna venne uccisa da un suo ex alunno, condannato per il delitto a trent’anni di carcere. Il luogo in cui è ambientato il romanzo, di cui non viene mai esplicitato il nome, ha tutte le caratteristiche di una cittadina di provincia della Pianura Padana, un posto a cavallo tra la patria «dell’aglio» e quella «dei cardi». Cai è particolarmente abile a descrivere l’asfissia grassa di quella che sembra la provincia granda, vale a dire il cuneese, chiamata così per la sua estensione.
Il punto di vista dal quale viene raccontata la storia è esterno: Cai fa prova di metaletteratura, dando del tu a chi legge, alternando capitoli dedicati alla vita della professoressa di inglese in una scuola privata per il recupero degli anni scolastici a quella di Alessandro, un suo bellissimo ex studente. Questo avvicendarsi nella narrazione dei due protagonisti è squilibrato in favore di Teresa, di cui leggiamo le pagine del diario, che la donna inaugura anche per poter esprimere la nostalgia che prova nei confronti di quel ragazzo che, da un giorno all’altro, aveva smesso di andare a scuola e che poi ricompare, sembra casualmente, un pomeriggio mentre lei sta cercando parcheggio.

LA NARRATRICE di questa storia si dedica di più alla vita di Teresa, anche perché le preme far affiorare il rapporto mostruoso che intercorre tra la quarantasettenne e sua madre, la signora Maria, una personaggia che ben rappresenta il concetto fondamentale di Hannah Arendt della banalità del male. La donna sembra voler bene a sua figlia, tanto da aver deciso di non avere altre gravidanze per poter dedicare tutti i suoi sforzi e le risorse familiari solo a Teresa che in realtà è una schiava, oppressa dai menù materni che si ripetono identici ogni settimana.
Il cibo ha un ruolo importante in questo romanzo, Cai gli attribuisce una connotazione ossessiva che ben si attaglia a uno specifico territorio, ma che racconta anche di una certa nevrosi molto diffusa nelle famiglie italiane, da nord a sud.
La storia di Alessandro, seppur occupi uno spazio minore, è raccontata dall’autrice con la stessa notevole ispirazione, mentre i personaggi che ruotano intorno al ragazzo, la madre o tale Arturo sono solo tratteggiati e non hanno la stessa solidità dei genitori di Teresa, particolarmente ben costruiti.
La lingua di Cai, infine, la scelta di ricorrere così spesso all’elencazione e di esprimere con una sintassi complessa e sincopata allo stesso tempo le elucubrazioni di due menti inceppate nella loro solitudine patologica, quelle di Teresa e di Alessandro, è perfettamente calibrata con la storia e contribuisce a ricreare quell’atmosfera da macigno che si percepisce sotto i portici di Savigliano o di Fossano.

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