Quelle decisive tappe della convivenza umana e della disuguaglianza
SCAFFALE «La città degli esclusi», un volume di Fabio Ciaramelli per le edizioni Ets, tra «civitas» «urbs» e nuove violenze. In appendice un reportage di Italo Calvino sulle condizioni di Napoli nel dopoguerra
SCAFFALE «La città degli esclusi», un volume di Fabio Ciaramelli per le edizioni Ets, tra «civitas» «urbs» e nuove violenze. In appendice un reportage di Italo Calvino sulle condizioni di Napoli nel dopoguerra
Il contenuto del bel libro di Fabio Ciaramelli, La città degli esclusi (edizioni ETS, pp. 148, euro 16), ruota attorno a un assunto universale: la città è il luogo dove vivono tutti i membri della comunità umana; dunque, il luogo di convivenza tra diversi.
Per citare Marx essa è il luogo di emancipazione contro «l’idiotismo della vita rustica nelle campagne», perché Marx leggeva il processo di inurbamento come condizione necessaria, storica della missione «civilizzatrice» del Capitale. E usò questa sua convinzione per bollare come anacronistiche le utopie antiurbane di Fourier, Owen, Cabet; da cui il motto «l’aria delle città rende liberi».
Essa, in origini e nella storia, ha rappresentato tappe significative della convivenza umana: da luogo sacro, temporaneo di riunioni cerimoniali (santuari) capaci di attrarre anche i non residenti a luoghi di accoglienza e dell’ospitalità gratuita di matrice ecclesiasta e poi laica, in auge nell’alto medioevo: gli Xenodochia, gli hospitia dove trovano ricovero senza distinzione stranieri, viaggiatori, poveri, vecchi, orfani e successivamente gli spedali (quello degli Innocenti, di Brunelleschi, fondato nel 1421 Firenze). Ma sempre, ci ricorda Fabio Ciaramelli, essa risulta dallo scambio tra cittadini diversi e non uguali.
IN EPOCA MODERNA, e nelle metropoli, compare un nuovo protagonista collettivo della vita sociale: la folla (fantastico è il racconto di Edgar Allan Poe, L’uomo della folla): un aggregato anonimo di molteplici individui senza più relazioni personali; anonimato che caratterizza la vita sociale e della quale Simmel e Baudelaire sono stati i primi osservatori.
A partire dall’ottantanove, il delicato equilibrio tra comunitarismo e individualismo si sbilancia tutto a favore dell’ansia della libertà. Questa trasformazione economica del capitalismo è basata sul successo personale, sull’affermazione del sé, sulla competizione sull’efficienza, sulla velocità. Questi grandi e rapidi cambiamenti hanno come effetto quello di indebolire gli elementi costitutivi della città, modificarne l’organizzazione e la stessa struttura fisica. L’odierna crisi della coesione civile come «convivenza di diversi» non è dunque un processo naturale e indolore. Le disuguaglianze aumentano e così la miseria urbana; processi di privatizzazione si estendono e si riduce lo spazio per la vita pubblica mentre aumenta la violenza urbana causata dalle pulsioni distruttive delle moltitudini che si ribellano alla emarginazione e ai disagi provocati dalla globalizzazione. A ciò si aggiungono i processi di gentrificazione consistenti nella trasformazione di aree degradate in aree di pregio che allontanano i vecchi residenti spingendoli verso aree periferiche prive di elementi di socialità, abbandonandoli alla disperazione e alla solitudine.
CIARAMELLI OSSERVA e descrive con attenzione il mutamento in corso ormai da molti anni: le città, ancor di più le metropoli, sono diventate i luoghi privilegiati in cui si consuma e, soprattutto, si esalta l’esclusione. Disuguaglianze ed esclusione sociale sono diventate le caratteristiche delle città, oltre ad essere, esse, sistemi fortemente energivori e dissipatori. Anziché civitas, luogo simbolico e affettivo del riconoscimento reciproco tra diversi, essa ora coincide con l’urbs, la città di pietra, mero spazio indifferente e privo di relazioni
La città funzionale si limita a connettere gli spazi attrezzati dell’economia, dell’efficienza, del potere del denaro e della tecnica. Scompare invece la città sorgente di simboli, simbolo essa stessa dello stare insieme. Unica speranza sono i nuovi venuti, cioè, afferma Ciaramelli, l’avvenire che ci viene incontro, così che possa rinascere la speranza. Ma sappiamo quanto è disperata e accompagnata da morti l’arrivo del popolo nuovo portatore di nuovi mondi.
A FINE LIBRO c’è una curiosa appendice dedicata a un capitolo poco conosciuto ma di grande interesse: un reportage di Italo Calvino sulle condizioni di Napoli nell’immediato dopoguerra, Freddo a Napoli, apparso nel 1949 su L’Unità. Attraversando i quartieri spagnoli, lo scrittore fa la brusca scoperta di una realtà dilacerata. Napoli appare ai suoi occhi una città segnata da dissonanze che non corrispondono affatto all’armonia delle sue celebri cartoline. Forse anche oggi l’apparente grande bellezza delle città nasconde le macerie di uno sviluppo che ha distrutto gli antichi vincoli sociali.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento