Cultura

Quell’archivio sommerso, tra smarrimento e libertà

Quell’archivio sommerso, tra smarrimento e libertàChiara Fumai, «Shut up, actually talk» (performance a Villa Medici, 2014)

Se n’è andata Chiara Fumai, artista contemporanea tra le più originali. Tra le «irregolari» a cui si ispirava: Valerie Solanas, Ulrike Meinhof e Carla Lonzi

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 18 agosto 2017

Quando Chiara Fumai parlava del suo lavoro, utilizzava il termine «slavoro» oppure, vista la sua carriera internazionale «unwork», un termine che suggeriva tanto l’idea di un ribaltamento dei meccanismi della produzione artistica, quanto la radicalità che attraversava la sua opera e la sua persona. Le sue numerose installazioni, video, disegni, collages e performances erano abitate da una costellazione di donne irregolari che evocavano altrettante figure della ribellione e della libertà femminili, da cui Chiara Fumai traeva ispirazione e linfa vitale. Valerie Solanas, Ulrike Meinhof e Carla Lonzi sono alcune delle sue figure tutelari, di cui l’artista citava e manipolava gli scritti trasponendoli in una forma visuale e performativa che ne coglieva tutto il potenziale di libertà e di trasformazione di sé e del mondo.

CHI HA AVUTO LA FORTUNA di assistere a una delle sue performances, ha potuto sperimentare la radicalità, l’intensità e l’irresistibile umorismo dello «slavoro» di Chiara Fumai. Le sue rappresentazioni hanno completamente reinventato la forma della conferenza performativa, richiamandosi alla tradizione della medium femminile.
Nel 2013, in seguito al conseguimento del prestigioso Premio Furla, Fumai aveva presentato una performance alla Fondazione Querini Stampalia a Venezia. Immedesimatasi in una guida del museo, l’artista spiegava al pubblico le opere della collezione soffermandosi sulla rappresentazione del rapporto tra i sessi e sulla presenza femminile nei numerosi affreschi e dipinti esposti nelle sale del palazzo veneziano.

LA VISITA era però disturbata da una serie di interferenze gestuali che veicolavano i sovversivi messaggi in codice provenienti da un fantomatico gruppo armato femminista. In questo modo le azioni di Chiara Fumai hanno dato vita ad una straordinaria galleria di personaggi femminili fuori dalla norma: streghe, isteriche e donne possedute da spiriti ribelli che si rivelano narratrici dotate di poteri magici. Le figure che popolano le sue diverse opere rimandano infatti all’archivio sommerso dell’oppressione e della rivolta delle donne, si nutrono dei saperi femminili rimossi dalla storia e attingono liberamente a epoche e contesti storici diversi.

Chiara Fumai era salita alla ribalta della scena artistica internazionale nel 2012, quando Carolyn Christov-Bagargiev l’aveva invitata a partecipare alla Documenta 13 a Kassel. In quell’occasione aveva presentato la Moral Exhibition House, un’installazione che cristallizzava alcune delle sue preoccupazioni principali: il rapporto tra corpo, suono e linguaggio, lo spiritismo e il folklore letti in chiave femminile, il femminismo radicale dei primi anni settanta. Si trattava di una casetta delle streghe dalle finestre inchiodate, composta da diversi ambienti infestati dagli spiriti di donne ribelli vissute in epoche diverse. Nel primo di questi ambienti un audio riprendeva alcuni passaggi di Sputiamo su Hegel, scritto da Carla Lonzi nel 1970: brevi estratti del testo erano scanditi da una voce femminile, che veniva però costantemente interrotta e messa a tacere.

LA VOCE CHE ABITAVA l’ambiente spoglio della casa evocava la presenza spettrale di Carla Lonzi proprio attraverso il procedimento, la registrazione, che Lonzi stessa aveva privilegiato sin dagli anni Sessanta. Nello spazio adiacente, Chiara Fumai performava invece «in carne ed ossa» Shut up, actually talk, un’azione che si ispirava ad una sorta di freak show attualizzato, basata sulle parole del secondo manifesto di Rivolta femminile «Io dico io». Questo esercizio di ventriloquismo femminista riattivava tutta la potenza del linguaggio lonziano: l’atmosfera carica di tensione tipica di queste performance veicolava infatti una visione conflittuale del femminismo, lontana anni luce dalle sue versioni più rassicuranti e mainstream tanto in voga di questi tempi.

Chiara Fumai si è tolta la vita il 16 agosto, all’età di 39 anni, mentre si trovava a Bari, la città in cui era cresciuta, proprio mentre stava preparando nuovi progetti e una mostra personale prevista il prossimo autunno. La sua improvvisa scomparsa lascia un vuoto incolmabile, non soltanto perché ci ha lasciate davvero troppo presto, ma anche perché era unico il suo modo di articolare insieme discorsi ed emozioni in una prospettiva femminista. Per Chiara Fumai infatti l’arte e il femminismo erano come un corpo a corpo di creatività ed espressione di sé. In questa irriducibilità stava il rischio di cui tuttavia è riuscita a farsi carico. Ci mancherà il suo smarrimento che, come scriveva Lonzi, è pur sempre la nostra prova.

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