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Quell’Albers “messicano”

Quell’Albers “messicano”Josef Albers, "Red Wall", 1947-'56

In asta a New York da Sotheby's, il 2 marzo, "Red Wall", un'opera straordinaria di Josef Albers, che testimonia il suo sodalizio stilistico con l'architetto messicano Luis Barragan Quando Josef e Anni Albers migrano negli Stati Uniti, è il 1933 e il decennio precedente lo hanno speso al Bauhaus, fra Weimar e Dessau. Josef si è iscritto alla […]

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 26 febbraio 2017

Quando Josef e Anni Albers migrano negli Stati Uniti, è il 1933 e il decennio precedente lo hanno speso al Bauhaus, fra Weimar e Dessau. Josef si è iscritto alla scuola fondata da Walter Gropius dopo aver fatto l’insegnante, e fra i banchi di Weimar ha incontrato la donna della vita, di dieci anni più giovane di lui. Josef diviene presto famoso, per disegni di vetrate che progetta per finestre di uffici, tanto che inizia a insegnare al corso preliminare, negli anni tedeschi più fervidi del Bauhaus. Lei invece seguiva i corsi di Paul Klee sui tessuti e progettava moderni rivestimenti in cellophane per rivestire pareti di grandi aule per adunate di lavoratori. Il nazismo si abbatte, impietosamente, anche su di loro. In una foto che li ritrae alla frontiera americana, hanno facce sconvolte e quasi a lutto. Ma ci mettono poco a riprendere coraggio. Josef viene chiamato a insegnare in una scuola di arti visive appena inaugurata, del tutto sperimentale, interdisciplinare e senza soldi, nelle sperdute foreste del North Carolina, il Black Mountain College. Nei venti anni seguenti, fino alla chiusura (1957), al College si formano poeti e artisti americani che diventeranno di riferimento, come Robert Rauschenberg, John Cage e Mercy Cunningham. L’ambiente, per gli Albers, era quello giusto: venivano dalle frequentazioni con i Kandinsky e con i Klee, ora si trattava di esportare oltreoceano la loro idea moderna di astrattismo. Video e foto documentano i metodi didattici di Josef: i suoi studenti chiudono un occhio per cercare di vedere lo spicchio di un cerchio disegnato in una lavagna mobile, mentre il professore saltella di qua e di là per l’aula, come se fosse animato da uno strano demone socratico. Si trattava di imparare a guardare le forme in modo nuovo, di interiorizzarle come se fossero lettere di un alfabeto. Gli studenti avrebbero poi dovuto utilizzare le geometrie e i colori secondo inventive scoperte di giorno in giorno, e variabili da persona a persona. Fra il ’33 e il ’47, Josef e Anni viaggiano molto, per tenere conferenze dappertutto nelle Americhe. E una delle mete preferite è il Messico. C’è un architetto, da quelle parti, che progetta case molto diverse da quelle che si facevano negli States, si chiama Luis Barragan. Il modernismo lo aveva attratto, ma tornato nel suo paese natale, aveva intuito che non c’era bisogno di grattacieli, ma di orizzontalità e di colore, e allora i muri e le case erano diventate lunghe distese accese di arancioni e di rossi. «Mexico is truly the promised land of abstract art», scrive Albers in una lettera a Nina e Wassilly Kandinsky – e chissà se per i coniugi contarono di più le architetture di Barragan o le fantasie policrome dei tessuti che piacevano ad Anni. Ora uno straordinario dipinto di Josef ritorna in vendita, da Sotheby’s a New York (2 marzo, stima 600.000-800.000 dollari; già passato da Christie’s a Parigi, due anni fa, e battuto a 373.500 euro, allora partiva da 70.000-100.000). Il Red Wall, ad olio su masonite, è datato nel retro 1947-1956 e giustamente si fa riferimento, nella scheda, alla «Casa» di Barragan di Città del Messico, eseguita nel 1948. L’architetto e l’artista-insegnante di certo si incontrarono in quegli anni ed è come se i rossi orizzontali del messicano fossero stati digeriti e riconfigurati dal tedesco in una sua formula che prevede i viola e le ripetizioni del rettangolo. L’opera si inserisce in una serie famosa di Albers, gli Adobe, dove si sperimenta l’accostamento di colori, contenuti sempre all’interno di una stessa «griglia», asimmetrica. Non c’era nulla di spirituale, in questo astrattismo – ed era diverso da quanto predicavano artisti della sua generazione, come Kandinsky, o della seguente, come Mark Rothko. Hans Arp, una volta lo ha detto con chiarezza: «Mentre Mark Rothko aspirava alla trascendenza, Albers cercava realizzazione qui sulla terra». D’altronde l’astrattismo per lui era materia che si poteva imparare, bastava mettere le matite in diagonale, mentre lui alla lavagna sovrapponeva una riga su un quadrato.

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