ExtraTerrestre

Quella «tragica fatalità» che ogni anno fa strage di cacciatori (e non solo)

Caccia Nella scorsa stagione venatoria sono morte 21 persone e 59 sono rimaste ferite (9 morti e 18 feriti non erano cacciatori)

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 5 novembre 2020

L’ultimo in ordine di tempo è un uomo originario di Gessopalena, in provincia di Chieti: pochi giorni fa ha perso la vita per un colpo di fucile esploso da alcuni cacciatori impegnati in una battuta al cinghiale poco lontano da dove stava cercando tartufi. È stato raggiunto al petto da un proiettile calibro 12 e a nulla sono valsi i soccorsi del 118 intervenuti anche con un elicottero.

LA CACCIA NON FA STRAGE SOLO DI ANIMALI, ma anche di persone. I dati che ogni anno l’Associazione Vittime della caccia presenta sono preoccupanti, ben lontani da quelli che ci si aspetterebbe da ciò che qualcuno si ostina a definire un’attività sportiva. Nella scorsa stagione venatoria si contano 21 morti e 59 feriti: 80 vittime, tra cui 9 morti e 18 feriti (due minori) non cacciatori. E negli anni passati non è certo andata meglio, con punte di ben oltre 100 vittime come nella stagione 2010/2011 quando si contarono 53 morti e 88 feriti. Dati preoccupanti che il Wwf Italia ha puntualmente evidenziato agli ultimi tre Ministri dell’Interno, Marco Minniti, Matteo Salvini e Luciana Lamorgese, senza ricevere risposte nonostante la drammaticità di quanto segnalato.

LE CRONACHE GIORNALISTICHE SPESSO parlano di «tragica fatalità», ma ad un’analisi meno superficiale dei fatti, emerge molto altro: imperizia, imprudenza e negligenza sembrano caratterizzare il comportamento dei responsabili di questi «incidenti» che, in vari casi, agiscono in aperta violazione della legge quadro nazionale (Legge n. 157/1992) e delle leggi regionali di settore. Come emerge anche dai controlli condotti dalle guardie volontarie del Wwf Italia durante la stagione venatoria, si va dal mancato rispetto delle distanze minime da abitazioni e strade alla tendenza a sparare senza inquadrare il «bersaglio», finendo così per colpire specie protette e persone; dal mancato rispetto del divieto di cacciare di notte, all’esercizio venatorio in condizioni climatiche proibitive che non consentono di capire a cosa si sta effettivamente sparando.

COMPORTAMENTI PERICOLOSI RESI ancora più gravi da ulteriori condizioni come l’ormai elevata età media dei cacciatori, per cui non è raro imbattersi in persone armate anche di oltre 80 anni. Folle poi consentire ai cacciatori alla prima licenza di caccia (18 anni appena compiuti) di detenere più fucili, compresi quelli, pericolosissimi, a lunga gittata, con l’unica limitazione di farsi accompagnare per la prima stagione venatoria da un altro cacciatore munito di licenza.

E CHE DIRE DEI FREQUENTI CASI che esulano dagli «incidenti durante la caccia», ma che vengono commessi da soggetti che detengono regolarmente uno o più fucili da caccia? Se a una persona capace di uccidere per un banale diverbio conoscenti, o addirittura familiari, è stato concesso il porto d’armi a scopo venatorio, sembrano più che legittimi i dubbi sull’accuratezza delle verifiche dal punto di vista psichico a cui vengono sottoposti i cacciatori prima di concedere loro di detenere, trasportare e utilizzare armi estremamente pericolose.

Ci si trova davanti ad un sistema che fa acqua fin dall’inizio: gli esami di «abilitazione venatoria» risultano in molti casi troppo semplici e organizzati in modo tale da non effettuare una selezione accurata consentendo anche a persone prive di capacità, conoscenze e stato di salute necessari l’esercizio di un’attività potenzialmente molto pericolosa che può svolgersi anche all’interno di proprietà private. Aggiungiamo poi che la maggior parte delle giornate di caccia si svolgono il sabato e la domenica, quando ciclisti e podisti, cercatori di funghi e agricoltori, escursionisti o semplici amanti delle passeggiate in natura si trovano a dover condividere spazi anche esigui e impervi con persone armate che sparano da tutte le parti.

PER RENDERE PIU’ SICURA LA CACCIA, soprattutto per i soggetti che – loro malgrado – restano vittime degli errori commessi dai cacciatori, sarebbe il caso di rivedere completamente la normativa che regolamenta l’esercizio di un’attività intrinsecamente violenta e pericolosa. Effettuare maggiori controlli sulle licenze di caccia concesse e sulle modalità con cui vengono svolti gli esami di abilitazione; limitare l’uso di armi a lunga gittata; vietare la caccia nei giorni festivi e prefestivi, a partire dai sabati e dalle domeniche, e nei luoghi dove si svolgono attività sportive o ludiche, al fine di tutelare la pubblica incolumità; migliorare e aumentare le attività di vigilanza venatoria effettuate dalle forze dell’ordine; agevolare la nomina di nuove guardie volontarie delle associazioni di protezione ambientale, favorendone l’azione che oggi invece è a volte ostacolata e, comunque, caricata di un gravame burocratico eccessivo non adatto ad un’attività di volontariato svolta a favore della collettività: da questi punti di buon senso si dovrebbe partire per rendere la caccia almeno meno pericolosa per l’uomo, in attesa di riuscire a renderla meno distruttiva per la fauna.

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