La colonizzazione dei corpi e dei sensi è al centro del discorso di Jonathan Crary, interprete delle tecnologie digitali e del capitalismo. Nel 2013 è stato pubblicato in italiano 27/7 Il capitalismo all’assalto del sonno (Einaudi), un volume sulla velocità dei processi produttivi e percettivi che alterano i ritmi sonno/veglia. L’accelerazione ci sta costringendo a una dimensione «cosale», nella quale l’attività avviene senza interruzione, dove il corpo e i sensi sono in funzione senza pause, disgregando il legame con l’armonia circolare della terra. Il sonno non serve solo a riposare, ma anche a sognare e immaginare. Creare mondi e pensare di viverci permette di ipotizzare un altro orizzonte, un passaggio essenziale per inventare soluzioni ai nostri problemi, diverse da quelle considerate ineluttabili. Il controllo dei ritmi vitali organizzati secondo rituali su cui gli individui hanno perso ogni potere, finisce per restringere le alternative e il potenziale di cambiamento e adattamento dell’umano.

Ora, nel testo Terra Bruciata (Meltemi, pp. 143, euro 14, traduzion di Jacopo Foggi) Crary – che insegna Modern Art and Theory alla Columbia University di New York – si interroga sul carattere distruttivo delle pratiche di astrazione e estrazione promosse dalle tecnologie digitali di comunicazione. Le risorse naturali del pianeta sono l’obiettivo dell’accumulazione per spossessamento e comprendono anche quelle biologiche, animali e umane, in una logica che mette sempre più in discussione che ci sia qualcosa di esterno alla forza di appropriazione del capitale. Il suo sguardo di storico e teorico dell’arte offre una visione originale delle mutazioni in corso, anche se ci costringe a lottare per non cedere al suo pessimismo dal sapore cosmico sulle conseguenze delle tecnologie.

I TRE CAPITOLI di cui si compone il libro sono interconnessi, ma indipendenti. Il primo è concentrato sull’estrazione delle risorse. Il titolo originale del libro scorched earth fa riferimento al significato del francese écorcher che significa scorticare, strappare la pelle. Le pratiche di questa spoliazione comprendono la velocità, ma anche l’astrazione e la frammentazione. L’astrazione introduce una generalità senza caratteristiche, diremmo con Musil, e, quindi, l’annullamento di ogni possibile riconoscimento o rispetto nei confronti di singolarità originali da tutelare e conservare.

Solo questi attori singoli potrebbero, infatti, costituire un ostacolo all’appropriazione incondizionata di risorse comuni, da parte di un piccolo gruppo di imprenditori, ingegneri e informatici. La frammentazione della rappresentazione digitale offre un ulteriore strumento di governo delle resistenze. Fratturare i processi, infatti, li rende invisibili e conduce a incorporare la segmentazione anche nelle forme di resistenza, che comunicando attraverso i social, attivano nicchie identitarie, e istituiscono confini, che li distinguono dagli altri movimenti. L’individualismo sfrenato si specchia attivamente nel digitale. Non conta tanto la sorveglianza di massa, quanto l’autosegregazione.

Il secondo capitolo è invece concentrato sugli effetti del capitale che usa la tecnologia non per aumentare la produttività umana, ma per sostituirla: come i cavalli furono rimpiazzati dal motore a vapore, così gli esseri umani non vengono resi più potenti dalle macchine, ma sostituiti. La sostituzione avviene non perché le macchine siano più efficaci, ma per una trasformazione dell’infrastruttura produttiva che estromette alcune caratteristiche umane, rendendo la percezione inutilizzabile entro i ritmi della tecnologia. Tale processo sarebbe la causa della grande quantità di suicidi nella popolazione attiva e di sofferenza psichica e psichiatrica. Questa parte è la meno convincente del libro, perché nutrita di una visione troppo ideologica delle tecnologie della computazione. Non si prende in considerazione tutto il lavoro umano di cui le grandi infrastrutture tecnologiche hanno bisogno.

È PUR VERO che si tratta di attività oggetto di sfruttamento e delocalizzazione, di cui il sistema capitalistico si serve, proprio sminuendone e nascondendone l’esistenza, grazie all’infrastruttura delle piattaforme che spacchetta e segrega la concreta necessità di competenze umane. Agire a distanza è un’altra caratteristica della tecnologia digitale che interviene a modificare la percezione e mette in discussione la realtà dell’esperienza dei corpi. Tale aspetto è al centro del terzo e ultimo capitolo che analizza le tecniche biometriche, non dal punto di vista della sorveglianza e delle operazioni di polizia, ma da quello della disintegrazione del cosiddetto mondo della vita fenomenologico. La voce, il volto e lo sguardo divengono preda di un processo di riproduzione, riflesso e ricomposizione che travolge i metodi percettivi umani per il riconoscimento, ai fini di instaurare relazioni.

Lo sfruttamento delle tecnologie dell’attenzione per catturare lo sguardo degli utenti dei social media è solo una delle diverse forme di speculazione sulla fisiologia umana per l’estrazione, l’asservimento e la manipolazione dei comportamenti. Le risorse mentali e materiali degli umani sono messe al servizio della produzione di plusvalore proprio come i metalli rari servono a costruire processori elettronici.

È UNA NUOVA colonizzazione che – dopo il land grabbing – interviene intrusivamente a misurare e, quindi, disarticolare tutte le attività umane: dal tracciamento dai bulbi oculari, ai parametri vitali, alle tecniche di riconoscimento facciale per individuare l’identità o l’orientamento di genere dei soggetti, fino a utilizzare le abitudini d’uso dei dispositivi per diagnosticare problemi psichici come depressione o stress. Si tratta di procedure di disciplinamento, standardizzazione e manipolazione, che si nutrono della quantificazione.

Il risultato è l’impossibilità di usare l’esperienza umana per entrare in contatto con il mondo esterno, ridotto a una serie continua e scomposta di stimoli. Questa colonizzazione delle risorse umane non passerebbe, cioè, attraverso un’appropriazione violenta, ma sarebbe l’esito di una compromissione di capacità cognitive e percettive e di una debolezza del desiderio, dovute alla dipendenza dai dispositivi, che isola e debilita i sensi.

TUTTAVIA, possiamo immaginarci che questo scenario – che pure individua una prassi in corso – provochi una resistenza proprio da parte di quelle abilità che intende disattivare. Possiamo notare una lotta implicita contro il processo di standardizzazione e disciplinamento che parte dai corpi, per poi realizzarsi nelle attività cognitive e psichiche. Non fosse altro che per il carattere di maggiore complessità della reattività percettiva, in quanto primitiva e preverbale.

Crary ci indica una linea di intervento, un orientamento di un certo uso della tecnologia, volto a esautorare spirito critico e autonomia umana. Tale processo di potere/sapere, però, non interviene nel nulla, può essere regolato e deve essere negoziato. È urgente ripensare una politica delle relazioni della nostra società. Il libro si può interpretare come un avvertimento. Una spinta ad agire per riprendere l’iniziativa della società sulle tecnologie che vogliamo, la loro molteplicità, ai fini di tutelare la libertà cognitiva, psichica e percettiva delle soggettività plurali che costituiscono l’umanità.