Finalmente sono tornati in scena Spiro Scimone e Francesco Sframeli, che dal lockdown erano stati isolati, più che nella loro Messina, da un mondo del teatro che ha ansimato e allontanato molte forze positive. E si sente l’effetto di quell’isolamento sanitario, che tutti abbiamo attraversato, qui in maniera più concreta e insieme poetica, rispetto alle molte sciocchezze (e luoghi comuni) che ci è toccato vedere e subire come conseguenza.

QUI, in questo Fratellina andato in scena a Prato che l’ha prodotto (al Fabbricone ancora stasera e domani pomeriggio) si sente concreta una reazione che cerca nei buoni sentimenti antichi una salvezza e una via di uscita dal mare di superficialità banali che ci assedia. Il racconto scritto da Scimone ha una apparenza molto elementare. Due creature Nic e Nac (Scimone e Sframeli, il quale firma anche la regia), sono da un lato del palcoscenico sospesi su una struttura che evoca un gigantesco letto a castello chiuso da veneziane che fanno da sipario (una creazione apparentemente semplice ma ricca di suggestioni, inventata da Lino Fiorito). Evocano con parole solo in apparenza ingenue antichi rapporti, di famiglia e di vita, e il desiderio forte di ricerca di nuovi rapporti.Due creature Nic e Nac, sono da un lato del palcoscenico sospesi su una struttura che evoca un gigantesco letto a castello chiuso da veneziane che fanno da sipario

SIMMETRICA, dall’altra parte della scena, una struttura identica che scoprirà poi un’altra coppia, Fratellino e Sorellina (Gianluca Cesale e Giulia Weber). In un superamento dei ruoli e dei generi, da cui nasce il «neologismo» del titolo, parlano, sempre con apparente ingenuità, di altre creature e altri desideri. Evocando una quinta figura, che non appare ma alla ricerca del quale si avvieranno tutti insieme, dando l’assalto a un terribile e robusto armadio da cui liberare una umanità futura.
Il racconto non rende giustizia alla ricca delicatezza dei dialoghi, dove ogni parola scopre affetti e sofferenze, e la difficoltà stessa di esprimerli. Sotto una presenza costante di evocazioni beckettiane, che rispetto al modello hanno però una ricchezza di sentimenti, e della loro «ingenuità», di notevole spessore. E che dietro di ogni parola, lo spettatore potrà scoprire e adattarsi secondo una propria storia.