Cultura

Quella fauna urbana popolata da paninari

Quella fauna urbana popolata da paninari

SCAFFALE «Il segreto degli anni ’80», di Roberto Franco (Algra) tratteggia l’immaginario di un decennio ambivalente.

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 9 novembre 2017

Umberto Eco sbigottiva di fronte all’insistenza ossessiva che i media dedicano agli anni ’70: il mondo, argomentava, non è cambiato nel decennio della grande rivolta ma in quello successivo. Gli anni ’80, quelli che ultimamente vanno di gran moda, beatificati da un’aura nostalgica sempre mielosa e spesso bugiarda.
Non si dovrebbe tuttavia parlare di revival: quel decennio non è mai davvero passato. Ha aperto la strada al mondo in cui viviamo, diverso nei fondamentali da quello che l’aveva preceduto dalla fine della guerra in poi. Parlare del decennio yuppie e rampante, degli anni che segnarono l’invasione del computer e dei video, significa addentrarsi nella genealogia immediata del presente.

NEGLI USA alcuni grandi romanzi, usciti intempo reale, hanno saputo raccontare il cuore degli anni ’80, Il falò delle vanità di Tom Wolfe, American Psycho di Brett Easton Ellis. In Italia non ci ha quasi provato nessuno, né all’epoca dei fatti né guardando a ritroso. Centra ora il bersaglio Roberto Franco, forse il più anticonvenzionale tra gli scrittori italiani, con un romanzo che fin dal titolo dichiara apertamente le proprie ambizioni: Il segreto degli anni ’80 (Algra Editore, pp. 345, euro 20.00). Siamo a Milano, capitale degli ’80, la città «da bere» di Craxi e Berlusconi, del Garofano, di Drive-In. Milano era anche culla dei «paninari», la sottocultura più significativa ed esemplare dell’onda che spazzava via con spudorata esuberanza i valori che avevano tenuto banco fino a quel momento, dalla solidarietà alla giustizia sociale, precipitandoli nel bugigattolo delle anticaglie.

I PROTAGONISTI di Roberto Franco sono appunto «paninari» ma veri, non quelli in caricatura resi all’epoca celebri proprio da Drive-In. Sono giovanissimi, tredicenni o poco più: lo specchio in cui si riflette la trasformazione etica e sociale allora agli albori. Somo tredicenni scafati e griffati da capo a piedi, che già ne sanno di droga, alcol e sesso. Provengono da classi sociali opposte e fingono che la differenza non esista mentre già detta gerarchie precise quanto stringenti. Hanno alle spalle un’epoca che guardano senza nostalgia e molti, come il protagonista figlio di ex militanti extraparlamentari ipocriti e arricchiti, con aperto disprezzo. Ossessionati dalla moda e lo sono anche di più dalla musica. Roberto Franco, già critico musicale, la adopera come nessuno aveva mai fatto, rendendola onnipresente perché tale è nella vita dei bambini cresciuti anzitempo del suo romanzo.
Conoscere le band allora nuove e saperne parlare con competenza fa la differenza tra chi nella piramide sta al vertice e chi ne è schiacciato. È importante quanto lo sfoggiare le griff giuste e indovinare la marca che distanzia quelli veramente cool dai tamarri, forse.

MA IL RUOLO DELLA MUSICA, nel libro, non si limita a questo: l’intera giostra delle relazioni sociali gira in un modo o nell’altro intorno ai dischi. Per Dani, il protagonista, sono quasi una droga che lo consola dalla disperazione quotidiana di un tipico adolescente sfigato nonostante i sin troppi soldi in tasca, che si trova puntualmente in fondo alla classifica della popolarità. È quello che ancora non ha mai avuto la ragazza e deve mendicare le amicizie delle piccole star della scuola, è uno dei tanti che per difendere il residuo prestigio deve abbassarsi a ogni carognata, vergognandosene anche, però sapendo che così fan tutti.
A raccontarne la trama, Il segreto degli anni ’80 sembrerebbe un Italian Graffiti trasmigrato dai ’60 agli ’80, la storia di un anno scolastico costellata di amoretti presi e lasciati, di amicizie che si sfaldano e si riformano provocando sofferenze come se ne subiscono solo nell’infanzia e nell’adolescenza. Ma quello di Franco non è affatto un teen ager book e anche se rievoca con precisione dettagliata i particolari di quella subcultura giovanile, in realtà una delle poche autoctone e non d’importazione, lo fa evitando ogni pur minima sbavatura nostalgica.
I quasi-bambini della Milano da bere provengono da fasce sociali distantissime: sentono la stessa musica, cercano di vestirsi allo stesso modo, può capitare persino che un pargolo di famiglia proletaria viva il suo quarto d’ora di popolarità: ma al fondo nessuno di loro perde mai la fredda consapevolezza che quelle divisioni resteranno e si approfondirranno.

I POVERACCI resteranno tali, i privilegiati continueranno ad accumulare vantaggi. La differenza rispetto a un’epoca precedente che è vicina sul calendario ma in realtà lontanissima è che di quei privilegi nessuno si vergogna più. Nessuno perde tempo a riflettere su quanto sia giusta la situazione. I privilegi vanno anzi sbandierati, ostentati e anche chi ne è privo deve fingere di potersene vantare.
Ma anche tra i futuri ricchi e potenti non tutti sono uguali. I «paninari«, come gli yuppies la cui parabola ha coinciso con quella del decennio di Ronnie e Meg, sono il cuneo di una controrivoluzione culturale, ma ne sono anche le vittime. Alla fine sono i potenti di sempre, non i rampanti freschi di arrembaggio sociale, a guidare i giochi sulla misura del loro tornaconto. È il segreto degli anni ’80, e anche la chiave per leggere il presente.

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