Cultura

Quel volo solitario di Manneddu

Quel volo solitario di MannedduManneddu al Man di Madrid - foto Ansa

ARCHEOLOGIA Fino al 12 gennaio, una delle statue di Mont’e Prama «in prestito» dal Museo civico di Cabras al Man di Madrid. La trasferta dell’esemplare scultereo antropomorfo è avvenuta malgrado i suoi 330 chilogrammi di peso. Stupisce che l’opera originale venga spostata con frequenza quando alla fine del 2023 del «pugilatore» è stata realizzata una minuziosa riproduzione in polistirolo. L’istituzione madrilena detiene la collezione Várez Fisa, acquisita nel 1999 per 12 milioni di euro. Tra gli oggetti un lotto di materiali ceramici forse trafugati dal territorio italiano

Pubblicato 26 giorni faEdizione del 19 settembre 2024

La statua di Mont’e Prama nota col nome di Manneddu è volata, malgrado i suoi 330 chilogrammi di peso, dal Museo civico Giovanni Marongiu di Cabras – dove è abitualmente custodita assieme ad altri 8 esemplari antropomorfi e a 6 modelli di nuraghe in fragile pietra calcarea – al Museo archeologico Nazionale di Spagna (Man) con sede a Madrid. La trasferta è stata propiziata dalle celebrazioni per il 50esimo anniversario della scoperta dell’ormai popolarissimo complesso scultoreo del Sinis, nella Sardegna centro-occidentale, in una necropoli della Prima Età del Ferro (IX-VIII secolo a.C.). Il «pugilatore» – definizione che deriva dalla presenza di un caestus, ovvero di un guantone da combattimento, e che indica un guerriero armato alla leggera idoneo alla lotta corpo a corpo (secondo un’altra interpretazione, tale figura rappresenterebbe un atleta che si esibisce in giochi sacri e cruenti in onore delle divinità o del defunto) – resterà nella capitale spagnola sino al 12 gennaio.

COME ACCADUTO per il recente prestito al Metropolitan Museum of Art di New York, Manneddu costituirà un «oggetto invitato», che – come si legge nel comunicato dell’Ansa – dialogherà nel Patio iberico con opere della Protostoria indigena quali il monumento funerario del Pozo Moro (VI secolo a.C.), connesso dalla direttrice del Man Isabel Izquierdo Peraile alla necropoli di Mont’e Prama per il comune legame con il culto degli antenati. Un parallelo che, data la distanza cronologica tra i due contesti archeologici, appare piuttosto pretestuoso. D’altronde, il progetto nato dalla collaborazione tra l’Ambasciata italiana in Spagna, la Fondazione Mont’e Prama e l’Istituto italiano di Cultura di Madrid allo scopo di diffondere il patrimonio della Sardegna e di indagare le similitudini tra l’insorgenza degli atelier scultorei della plastica sarda antica e di quella iberica e talaiotica (civiltà, quest’ultima, che si sviluppò nelle Baleari alla fine del II millennio a.C., ndr), risulta complessivamente discutibile. È palese, infatti, che l’esposizione solitaria di una statua che fa invece parte di un insieme coerente di ben 44 sculture già restaurate tra arcieri, guerrieri, pugilatori, modelli di nuraghe e betili – senza contare le migliaia di frammenti ancora da assemblare – non possa restituire né l’immagine né tantomeno il significato di un contesto archeologico vasto, peraltro a oggi non totalmente decifrato.

Stupisce, inoltre, che l’opera originale venga spostata con frequenza quando alla fine del 2023 del pugilatore è stata realizzata una minuziosa riproduzione in polistirolo di finissima grana rivestito di polvere di calcare misto a terre di scavo, che simula il colore autentico della pietra. Copia già utilizzata come decorazione dei palchi che hanno ospitato quest’estate sull’Isola i festeggiamenti per il Cinquantenario della scoperta. Ancor più paradossale è che mentre Manneddu continua a percorrere l’Europa (tra il 2021 e il 2022 aveva già toccato le città di Berlino, San Pietroburgo, Salonicco e Napoli al seguito della rassegna Sardegna Isola Megalitica), a mezzo secolo dalla sua scoperta il gruppo scultoreo di Mont’e Prama sia diviso tra il già citato museo di Cabras e il Museo archeologico nazionale di Cagliari, al quale le statue furono in gran parte destinate nel 2014.

ANCHE L’ISTITUZIONE cagliaritana diretta da Francesco Muscolino (che martedì ha accolto i ministri del G7 della Cultura) non ha d’altronde disdegnato di inviare il «gigante» denominato Gherreri al Museo Nazionale Romano per la rassegna L’istante e l’eternità – un’accozzaglia di manufatti di varie epoche scelti in base a criteri estetici –, promossa nel 2023 dal direttore generale musei Massimo Osanna e particolarmente apprezzata dall’ex ministro Gennaro Sangiuliano per l’esaltazione delle «radici occidentali».
E pensare che nel 2021 la nascita della Fondazione Mont’e Prama per iniziativa del Ministero della Cultura, della Regione autonoma della Sardegna e del Comune di Cabras era stata accolta con fiducia dalla collettività proprio perché indirizzata all’agognata riunificazione dei kolossoi. Fin da subito però, l’ente presieduto dal giornalista Anthony Muroni e governato da un Consiglio di amministrazione in cui assieme a una storica dell’arte e a un blasonato trombettista siedono «esperti» che con la cultura hanno decisamente poco a che fare, ha investito diversi milioni di euro di fondi pubblici nella promozione a scopo turistico e commerciale delle statue più che in un’adeguata valorizzazione scientifica.

Cratere con Athéna della collezione Várez Fisa esposto al Man di Madrid

SE A CABRAS non si vede la fine del cantiere per la costruzione del nuovo museo ideato dagli architetti Walter Dejana e Renata Fiamma che dovrebbe accogliere la totalità dei reperti di Mont’e Prama, un’esposizione temporanea «immersiva» della durata imposta di soli 7 minuti per gruppo consente di osservare per la prima volta i «giganti» a 360 gradi nella luminosa ma ridotta Sala del Paesaggio. L’allestimento, tuttavia, è fuorviante in quanto le sculture – che, sulla base delle ipotesi ricostruttive, erano anticamente collocate l’una accanto all’altra lungo una strada funeraria – sono qui ordinate come una falange che avanza verso il visitatore. Una suggestione che vorrebbe rievocare non troppo velatamente il carattere bellicoso degli antichi sardi (da taluni identificati, secondo un filone di studi che sconfina spesso nella fantarcheologia, con gli irriducibili Shardana), trasformando gli eroi di Mont’e Prama in feticci identitari, buoni per attirare un pubblico di massa avvezzo a una pseudo-archeologia emotiva e funzionali a certa propaganda politica.

Oltre alle ragioni di cui abbiamo dato conto, c’è un altro rilevante motivo per cui «l’avventura» spagnola di Manneddu assume i contorni dell’imbarazzo. La prestigiosa istituzione madrilena che ospiterà la statua per qualche mese detiene infatti la collezione Várez Fisa, acquisita nel 1999 per 12 milioni di euro. Tra gli oggetti raccolti dall’ingegnere e uomo d’affari catalano a partire dagli anni Settanta del ‘900 ed editi nel catalogo La colecciòn Várez Fisa en el Museo Archeologico Nacional, vi è un consistente lotto di materiali ceramici presumibilmente trafugati dal territorio italiano. Il lavoro puntuale degli studiosi Daniela Rizzo e Maurizio Pellegrini (già consulenti della Procura di Roma per il traffico illegale di reperti) ha potuto dimostrare in dettagliati rapporti e articoli pubblicati anche su riviste divulgative quali Archeo (n. 401, luglio 2018) come almeno 25 vasi inerenti alla collezione Várez Fisa si trovino rappresentati nei documenti – relativi a rinvenimenti clandestini – requisiti ai mercanti d’arte Giacomo Medici, Robin Symes e Gianfranco Becchina.

TRA I PEZZI più significativi ora visibili al Man figurano uno splendido cratere a campana di Gnathia con Atena (320-300 a.C.), che appare tra le foto e i negativi del «sequestro Medici» sul tavolo del restauratore Fritz Bürki. Il retro dello stesso vaso è illustrato anche nelle foto confiscate a Parigi a Robert Hecht, il trafficante responsabile della vendita del Cratere di Eufronio al Met di New York (rientrato in Italia nel 2008, ndr). Il cratere con Atena è stato messo in vendita dalla sede londinese di Sotheby’s nel 1990, poi riproposto e venduto in un’asta del 1994 dalla Edition Service, società di proprietà di Giacomo Medici. Di questa e altre vicende legate alla controversa formazione della collezione Várez Fisa tacciono sia il Man (che, come alcuni musei stranieri, avrebbe potuto riconoscere il dolo e restituire i pezzi incriminati), che il Ministero della Cultura italiano.
Così, mentre Manneddu viene privato del suo valore memoriale più intrinseco per essere investito di interessi politici ed economici, a Madrid va in scena – sotto la rassicurante patina della diplomazia culturale a compartimenti stagni – il mesto trionfo della decontestualizzazione archeologica. La quale, sia essa conseguenza di affari illeciti o strategie di marketing, spezza e offusca il legame degli oggetti e delle comunità con la Storia.

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