Cultura

Quel tripudio di elefanti a Cartagine

Quel tripudio di elefanti a CartaginePhilippe Druillet, disegno originale per «Salammbô»

Gustave Flaubert Al Mucem di Marsiglia, una grande mostra fa rivivere le pagine di «Salammbô», secondo romanzo dell'autore francese di cui si celebra il bicentenario il 12 dicembre. Per portare avanti il suo progetto di scrittura, si basò sui resoconti di Polibio e Appiano mentre ricavò dalla Bibbia preziosi dettagli sui riti e sui costumi dell’Oriente antico

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 11 dicembre 2021

Furore! Passione! Elefanti! È con uno strepito che sembra venire da lontano e strizzare l’occhio alla cultura popolare che il Museo delle civiltà dell’Europa e del Mediterraneo di Marsiglia (Mucem) celebra il bicentenario della nascita di Gustave Flaubert, venuto alla luce il 12 dicembre del 1821 a Rouen. I pachidermi nulla c’entrano con la Normandia e con quell’orizzonte scalfito dalle guglie della cattedrale di Nôtre-Dame che Monet ha impregnato, nelle sue tele, di melanconica dolcezza.

HANNO A CHE FARE, piuttosto, con la patria simbolica alla quale è associato ancora oggi lo scrittore francese: l’africana Cartagine. È infatti con una mostra su Salammbô, secondo romanzo di Flaubert pubblicato nel novembre del 1862, che il Mucem – in collaborazione con l’insieme dei musei metropolitani di Rouen (Rmm) – rende omaggio a uno dei maggiori rappresentanti della letteratura universale. L’esposizione (titolo originale: Fureur! Passion! Éléphants!) sarà visitabile nella città foceana fino al 7 febbraio del 2022.
A cura di Sylvain Amic e Myriame Morel-Deledalle, la rassegna presenta duecentocinquanta oggetti provenienti da collezioni pubbliche e private francesi ed europee, tra cui il Louvre, la Biblioteca nazionale di Francia (Bnf) e il Centro Pompidou. Grazie al sostegno dell’Istituto nazionale del patrimonio di Tunisi, importanti prestiti sono stati concessi dal Museo di Cartagine. La scenografia ideata da Flavio Bonuccelli lascia il campo ad opere già di per sé dirompenti come l’enorme arazzo (480 x 900 cm) della Manufacture des Gobelins – storico laboratorio di tessitura istituito per volere di Luigi XIV – intitolato Tenture de l’Histoire de Scipion: la Bataille de Zama (1688-89).

La prima sala risuona del clangore delle lance e delle spade brandite da Romani e Cartaginesi, gli uni contro gli altri. È un tripudio di elefanti quello immaginato dal cartonista François Bonnemer su ispirazione di Jules Romain e Francesco Penni, sebbene a soccombere nel feroce scontro del 202 a.C. fu Annibale, il condottiero che i sontuosi mammiferi avevano accompagnato nell’epica traversata delle Alpi. A cinque anni di distanza dalla pubblicazione di Madame Bovary – libro che costò al suo autore un processo per oltraggio alla morale pubblica e religiosa e ai buoni costumi – è proprio alle guerre puniche che Flaubert attinse per il suo romanzo di «evasione». Allontanandosi dalla Normandia e dal suo tempo – verso il quale nutriva profondo disgusto –, egli scelse di virare verso la Storia, espediente che nondimeno gli consentirà di trasporre nell’antichità perduta il suo pensiero sugli eventi contemporanei, senza incorrere nuovamente nella censura. La cornice nella quale Flaubert incastona la tramaè la guerra dei mercenari (240-238 a.C.).
Costoro erano quei soldati stranieri – riconoscibili anche nel melting pot dell’arazzo in mostra – che dopo aver valorosamente combattuto per Cartagine – reagirono all’ingiustizia della paga promessa e poi negata. Dietro questo episodio di violenza si nascondono, in realtà, le giornate rivoluzionarie del 1848, tema approfondito da un interessante contributo di Jean François Chougnet nel catalogo dell’esposizione edito da Gallimard. Per portare avanti il suo progetto di scrittura, Flaubert si basò sui resoconti di Polibio e Appiano mentre ricavò dalla Bibbia preziosi dettagli sui riti e sui costumi dell’Oriente antico.

Manufacture des gobelins, cartone per arazzo di François Bon

IN QUELL’EPOCA, infatti, il passato mitico di Cartagine – che in Occidente, attraverso l’Eneide, era legato soprattutto alla figura della leggendaria fondatrice Didone (tra i dipinti con cui l’esposizione la ricorda vi è lo splendido Enée racontant à Didon les malheurs de Troie, di Pierre-Narcisse Guérin, 1819) – riemergeva soltanto dalle rovine di un acquedotto e dalle cisterne di età romana. Nella prima sezione viene sottolineato, attraverso qualche moneta punica, il contributo della numismatica alla raccolta documentaria intrapresa da Flaubert.
Ma è soprattutto la cosiddetta Tariffa di Marsiglia, un’iscrizione in caratteri fenici rinvenuta nel 1845 a testimoniare che per la redazione del suo romanzo Flaubert si è fondato su documenti storici. È lui stesso a parlare di questo «listino» di prezzi inerente ai sacrifici praticati dai sacerdoti, in una lettera indirizzata nel 1861 a Sainte-Beuve.
Accanto ai reperti archeologici, il visitatore troverà uno dei taccuini di viaggio del 1858 prestato dal Fondo della Biblioteca storica di Parigi in cui Flaubert fissò annotazioni poetiche e abbozzò i paesaggi della Baia di Cartagine, memorizzando persino il colore del cielo, della montagna e del mare.

«Era a Megara, sobborgo di Cartagine, nei giardini di Amilcare». Con queste parole inizia il miraggio di Flaubert, e con emozione è possibile ammirare nel prosieguo dell’esposizione il manoscritto autografo (conservato presso la Bnf) nella sua copia definitiva, non priva di ripensamenti, poi edita – con successo immediato – da Michel Lévy. Lo slancio orientalista dell’opera di Flaubert si rivela in tutto il suo fulgore con la comparsa, sulla «scena», della protagonista del romanzo, la figlia di Amilcare, coperta di abiti neri. Tale momento si ripete in mostra con la visione della grande tela (195 x 296 cm) di Antoine Druet, Salammbô au festin des mercenaires, presentata al Salone del 1910, nella quale si delineano in un solo «affresco» tutti gli elementi principali della storia: la sensualità della sacerdotessa di Tanit e il desiderio che s’impossesserà contemporaneamente di Mâtho, capo dei mercenari libici, e di Narr’Havas, giovane condottiero numida.

Manoscritto di Flaubert definitivo

LA SECONDA SEZIONE della mostra è dedicata a Salammbô e le arti. Ai quadri art-déco che esaltano l’erotismo dell’eroina nell’iconica posa con il serpente – come nell’opera di Franz von Stuck (Die Sünde, 1899) da Colonia – segue una sala che, malgrado la leggendaria ostilità di Flaubert per le illustrazioni, esalta la fortuna di Salammbô anche in questo campo. Tra copertine e tavole, spicca inoltre il velo di Tanit, un’opera in tessuto e ricami preziosi realizzata tra il 1895 e 1896 da Marie Rochegrosse, moglie di Georges-Antoine, uno dei principali illustratori del «romanzo cartaginese».
L’allestimento di Bonuccelli che richiamando i toni forti della passione, della lussuria e persino del sangue che stillerà dalle pagine di Flaubert, fa brevi incursioni nel mondo dell’Opera, del cinema e del fumetto, conduce infine – attraverso arcate che simulano il caos delle rovine – all’ultima sezione, contraddistinta dall’azzurro del mare.
Le nuove ricerche a Cartagine sono il punto d’arrivo di un romanzo nato proprio dall’archeologia. Un insieme di stele votive scoperte da Évariste Pricot de Sainte Marie immerge il visitatore in uno dei passaggi più celebri di Salammbô, nel quale Flaubert descrive le cerimonie dei sacrifici collettivi di bambini decise dal Consiglio degli Anziani per ottenere la clemenza degli dèi durante la Guerra dei mercenari. Lo scrittore, nel corso del suo viaggio, non poté vedere il Tophet – santuario dedicato a Tanit e Baal- Hammon –, la cui scoperta risale al 1921. L’immaginario collettivo non aveva tuttavia mai smesso di alimentarsi della famelica e mostruosa «macchina» rappresentata nel 1914 da Giovanni Pastrone nel film Cabiria. È l’archeologo tunisino Imed Ben Jerbania a riportarci con un video alla realtà delle ultime scoperte, accendendo nuove luci, non meno intriganti, sulla civiltà cartaginese.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento