Visioni

Quel talento tra bellezza e paura

Quel talento tra bellezza e paura

Femmine Folli Stanze sgombre, disadorne. Corpo svelato. Bianco e nero senza tempo. Francesca Woodman ha pochi anni ma negli occhi la malinconia di una vita da centenaria. Il suo lavoro fotografico si […]

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 16 luglio 2015

Stanze sgombre, disadorne. Corpo svelato. Bianco e nero senza tempo. Francesca Woodman ha pochi anni ma negli occhi la malinconia di una vita da centenaria. Il suo lavoro fotografico si muove da New York a Roma. Le mura scrostate raccontano storie di solitudini, scelte o passivamente accettate. Non ci sono didascalie, non ci sono fumetti, non ci sono voci. Solo sguardo, occhi, intese fuori campo.
Una minuscola galleria romana al ghetto dal nome altisonante, museo del Louvre, ha raccolto stampe di foto realizzate dall’artista in Italia, fogli scritti a mano, lettere indirizzate al proprietario della galleria, menù, pagine di diario. La mostra si intitola Winter cooking, alludendo al rapporto di Woodman con il cibo ma direi che è puramente pretestuoso. Vado, vedo, penso e torno a casa. Ma la curiosità si è accesa e approfondisco per mio conto, come suggerivano gli insegnanti alle medie.

 
Le foto di questa matura ragazza ventiduenne sono drammatiche, sconsolanti eppure potenti. Alcuni accostamenti disturbanti: la nudità accanto ad un’anguilla in un vaso tondo; l’impronta scurita di pittura del suo corpo lasciata sul suolo bianco e lei accanto, come una prosecuzione in carne e ossa, svestita ma con delle piccole ballerine nere ai piedi; una silhouette umana che esce da un sottile strato di intonaco stampato a foglie; sfocata dietro una tenda velata controluce, rannicchiata in un nascondiglio che è anche un rifugio; drappeggiata alla parete come un sipario al lato, appesa in alto per la chioma; in posa acrobatica, eppure affatto sportiva, alla cornice di una porta, pavimento a losanghe, una sedia con un panno bianco lasciato lì per caso.

 

 

Sono tutti autoscatti, fa tutto da sola, non ha bisogno di nessuno. Il suo lavoro non è sorpassato, non va dimenticato. Mantiene una attualità e una freschezza nonostante il tempo e le tecnologie, come se i pochi elementi forti messi in gioco – il corpo lo spazio la luce la doppia esplosione – fossero descritti con tale lineare essenzialità da non perdere la loro valenza di realtà. Ma non sembra questa l’urgenza di Francesca, quanto una voglia estrema di provarsi, di non cedere a ricatti menzogne provocazioni, quanto piuttosto solo ed essenzialmente ascoltare il suo battito.

 
La vita segue percorsi imprevedibili e mi accorgo di essere legata alla Woodman da un solo grado di separazione. Telefono ad un amico pittore che l’ha frequentata nel 1977-78, l’anno in cui lei, diciannovenne, studiava arte a Roma. Mi ha confermato l’estrema maturità del suo lavoro e la sua assoluta consapevolezza di artista in barba alla giovinezza. Attribuisce a questo, col senno di poi, il precoce e agghiacciante suicidio: un senso di aver fatto tutto il meglio di quello che poteva fare, oltre si sarebbe solo ripetuta.

 
Talento in eccedenza, che esonda dagli argini, che spinge a cercare negli angoli remoti, sperduti dei vicoli, delle case abbandonate, dei labirinti dell’anima. Mi ricorda un po’ l’ultimo anno di vita di Pino Pascali (1936-1968) – artista precursore genio ribelle – una corsa inquieta verso la morte: lui non la cercava razionalmente, arbitrariamente ma lanciava la moto sfrenato per la città, provocando incidenti nel quale il più colpito era lui. Fino all’ultimo, fatale, su Muro Torto, l’undici settembre millenovecentosessantotto, mentre io ero un girino in una pancia da scarsi tre mesi.
Francesca come Pino, diavoli di talento bellezza e paura.

fabianasargentini@alice.it

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