«Quel sogno di 70 anni fa ormai si è interrotto»
Il rapporto Attivisti uccisi, donne e gay discriminati e Paesi in cui torna la pena di morte
Il rapporto Attivisti uccisi, donne e gay discriminati e Paesi in cui torna la pena di morte
Il percorso avviato 70 anni fa con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo si è interrotto: «Troviamo sempre meno responsabilità da parte degli Stati, meno voglia di migliorare le condizioni umane», denuncia il direttore generale di Amnesty international Italia Gianni Rufini. Uno stop che si può leggere anche attraverso la suddivisione delle ricchezze: 67 persone posseggono il 50% della ricchezza globale e le 8 persone più ricche del mondo hanno la stessa ricchezza del 50% più povero, mentre l’1% della popolazione mondiale possiede la stessa ricchezza del 99%. «Questa non è l’idea di giustizia ed equità che la Dichiarazione portava con sé», ricorda Rufini.
Non va meglio se si parla di diritti umani. «La situazione nel mondo è bruttissima», prosegue Rufini ricordando come negli ultimi anni in alcuni Paesi sia stata ripristinata la pena di morte e intere categorie di cittadini, come migranti, minoranze etniche e donne vengono private dei loro diritti.
A guardare i quadro generale c’è da mettersi le mani nei capelli a cominciare proprio dalle persecuzioni subite dagli attivisti per i diritti umani. In Colombia, ad esempio, in media ogni tre giorni ne viene ucciso un attivista. In Egitto, nel 2018 le autorità hanno incarcerato almeno due attiviste per i diritti umani, sottoposto a divieti di viaggio almeno altre sette e disposto il congelamento dei beni nei confronti di altre due. Altre otto attiviste sono state arrestate in Arabia Saudita da maggio 2018 e si trovano ancora on carcere senza che nei loro confronti sia stata contestata un’accusa. E non va certo meglio in Iran, con 43 attiviste in prigione solo per aver difeso i diritti delle donne. Non va certo meglio per le persone Lgbt, discriminate in 71 Paesi che ancora considerano l’omosessualità un reato.
Il 2018 è stato anche l’anno con il più alto numero di giornalisti morti in Afghanistan dall’inizio del conflitto nel 2001, mentre in Yemen milioni di persone sono a rischio a causa della carestia e quasi 17.000 civili sono stati uccisi o feriti dallo scoppio della guerra. Il conflitto in Sud Sudan, con sette milioni di persone che necessitano disperatamente di aiuti umanitari e protezione, rimane invece una delle crisi più ignorate nel mondo.
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