Visioni

Quel ragazzo arrruffato con seria leggerezza

Quel ragazzo arrruffato con seria leggerezzaZuzzurro e Gaspare

Ritratti Addio a Zuzzurro, il commissario nonsense. Dal palcoscenico del Ciak di Milano, allo schermo tv alla commedia, sempre in coppia con Gaspare

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 26 ottobre 2013

Adrea Brambilla se n’è andato. Per me, prima ancora del commissario Zuzzurro era un amico. L’ho conosciuto in un’altra vita, quando lui e Nino Formicola, famoso come Gaspare, hanno cominciato a frequentare il palcoscenico del Ciak di Milano. Era il 1979, mio suocero Leo Wachter gestiva quel teatro divenuto negli anni un punto di riferimento cittadino, arrivarono Zuzzurro e Gaspare e… non fecero furore. Leo però credeva in loro. Il tempo dette ragione all’intuito di Leo e al talento di Andrea e Nino. A quel debutto dimenticabile seguirono stagioni indimenticabili di successi e bisogna dire che sia Nino che Andrea sono stati gli artisti che più di tutti hanno voluto dare merito a Leo per avere creduto incondizionatamente in loro. In breve tempo Nino e Andrea divennero una coppia dal successo travolgente, complice la tv che amplifica tutto.
La loro comicità è stata surreale. A partire da quel nome, Zuzzurro, ereditato da un’intuizione di Zavattini per il film Il giudizio universale di De Sica, dove si racconta che dio convoca l’intera umanità per il suddetto giudizio e solo uno se la ride perché si chiama Zuzzurellone, e il giudizio seguirà l’ordine alfabetico. Il dizionario per «zuzzurellone» recita: persona adulta che nel comportamento denota un’infantile e spensierata leggerezza. Sul palcoscenico era esattamente così. In rete è possibile rivedere uno sketch di Non stop del 1979, il commissario Zuzzurro racconta, l’assistente Gaspare chiosa, un racconto di fraintese tende canadesi che si trasforma in una partita a tennis con la palettina cacciamosche, puro irresistibile nonsense.
In tv hanno conosciuto la fama dei grandi numeri con Drive in, hanno anche creato uno show raffinato come Emilio, e per molti anni sono stati una presenza forte del teleschermo. Ma non si sono fermati lì, neppure si sono fermati all’assemblaggio di sketch riproposti dal vivo, hanno fatto teatro, quello vero, brillante certo, ma teatro. Il loro Andy e Norman aveva ottenuto anche il plauso di Neil Simon, sacro autore della commedia. Col passare degli anni la tv si è imbarbarita e loro hanno trovato sempre meno spazio, ma hanno continuato a macinare spettacolo e a far divertire il pubblico con proposte originali come Sete o con riletture di Rumori fuori scena, Quello che sapeva il maggiordomo, La cena dei cretini. E avrebbero dovuto essere di nuovo in scena in questi giorni se la malattia incurabile di Andrea non avesse fatto precipitare la situazione.
In tutti questi anni ci si è visti e frequentati con maggiore o minore intensità a seconda dei momenti. Personalmente devo a Andrea la passione per il whisky, di puro malto, naturalmente invecchiato, meglio ancora se a piena gradazione. Il bello di Andrea era proprio la sua persona, sempre circondato dagli amici, quelli di sempre, nei momenti alti e in quelli meno brillanti, amici veri, quindi cene, bevute, partite a carte, ma anche serietà perché il Brambilla faceva ridere ma era serio come professionista. Un professionista che preferiva tornare a casa dopo lo spettacolo per ritrovare Pamela e i figli macinando quantità industriali di chilometri, e una volta ha rischiato di non farcela a causa di uno spaventoso incidente. Da cui si è rialzato, ha sollevato il sopracciglio, ha arruffato ancora i capelli, ha ripristinato la zeppola del commissario per ripartire di nuovo.
Andrea non era un personaggio arrendevole, non aveva accettato neppure l’impietosa diagnosi dei medici, voleva dimostrare di essere più forte del male, di cui era a conoscenza. Non ce l’ha fatta, per ora, ma se mai ci sarà un giudizio universale Andrea con il suo alter ego sarà lì a sghignazzare e a farci ridere, anche se al momento siamo tutti avvolti in una profonda tristezza.

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