Mi ha colpito, credo abbia colpito tutti, sentire pochi giorni fa alla TV una giovane ragazza dire dal Sudan devastato da una insensata violenza, che lei e tutta la sua Emergency non si sarebbe messa in salvo. Sullo sfondo si vedevano centinaia di persone che si apprestavano a raggiungere gli aerei che li avrebbero riportati al più presto nei loro paesi d’origine. Quell’annuncio fatto senza enfasi, quasi una comunicazione ovvia, pur sapendo tante cose sul lavoro delle Ong in Africa, mi ha colpito in modo diretto, come mai prima, perché si trattava di una donna concreta, in un frangente specifico, e drammatico, che con tranquillità comunicava che sarebbe rimasta lì, nel fango dei villaggi senza acqua potabile e senza luce, alle prese con le malattie, le violenze, l’orrore dei bambini che muoiono di fame. Ho avvertito da vicino l’incredibile coraggio necessario ad assumere questo impegno, di cui sentiamo sempre parlare e però non conosciamo davvero quale fatica comporta.
É in questi stessi giorni che mi è capitato fra le mani il libro in cui Lidia Tilotta, caposervizio del Tgr Sicilia, ha dato voce (come aveva già fatto per un’altra storia straordinaria, quella di Pietro Bartolo, per anni medico nel porto di Lampedusa) al racconto dettagliato della quotidianità di una donna, Cristina Fazzi, partita per sostituire temporaneamente un’amica in missione nello Zambia dove è poi, invece, restata ormai da più di vent’anni. Una storia straordinaria.

IL LIBRO SI CHIAMA Karìbu (che in lingua zambese significa «accoglienza») con il sottotitolo Lo Zambia, una donna, una grande avventura (Infinito edizioni, pp. 160, euro 16), ed è la cronaca giorno per giorno della normalità delle giornate di questa dottoressa di Enna, che ha lasciato la sua vita tranquilla per trasferirsi in un bosco.
È stata una lettura che mi ha fatto finalmente cogliere quale sia il valore dei tanti impegnati in questo continente devastato dall’oppressione coloniale. Più di qualsiasi altra lettura questo libro mi ha fatto capire davvero di cosa si tratti.
Dell’Africa, Cristina qualcosa sapeva: suo nonno Vincenzo era finito in Eritrea negli anni ’30, come tanti altri siciliani «colonizzatori», e suo padre proprio lì era nato fino a quando, dopo il passaggio della guerra e la prigionia degli inglesi, non erano riusciti a tornare a Enna. Ed è proprio nella sua città che via via riuscirà a raccogliere le donazioni indispensabili a provvedere alle esigenze dei bambini, tutti malati di denutrizione, che trova nel minuscolo presidio di Misshikishi, smarrito nella foresta, alle prese coi topi e i serpenti, colpita come tutti dalla malaria. L’acqua è raccolta dai rivoli infangati che a cielo aperto trascinano i rifiuti, e serve per lavarsi e per bere. Il cibo sono i topi stessi e i millepiedi, chiamati Ginkunbale.

A SILANGWA,la piccola baraccopoli dove si trasferisce dopo qualche tempo, resterà per nove anni, e lì si raccoglie la melassa dalle piantagioni di zucchero che viene rudimentalmente distillata col fuoco delle scorie: è droga, si chiama Kachasu e se ne nutrono anche i bambini. A regolare la vita c’è il «chief», che può essere saggio ma anche il contrario, le bambine vengono violentate regolarmente, diventano madri anche a dieci anni, e i loro genitali distrutti dalle infezioni dei virus.
E tuttavia non è una storia triste, Cristina è felice, perché sente che sta facendo qualcosa di indispensabile, salvare i bambini. E finalmente ne adotterà uno perché prova troppa pena ad abbandonarlo senza alcuna protezione. É così piccolo, anche dopo qualche mese, che lo tiene in una mano. Si chiamerà Joseph e dopo un mucchio di difficoltà burocratiche riuscirà, sebbene single, ad ottenerne «l’autorità genitoriale» dalle autorità italiane. E così di portarlo in Sicilia quando va a visitare i suoi genitori. Per pochi giorni, perché torna regolarmente subito nello Zambia, dove nel frattempo ha raccolto altri sette figli in affido.
Una buona cosa: nel 2013 Cristina Fazzi è stata nominata Cavaliere dell’Ordine al merito della repubblica italiana.

* Del volume si discuterà giovedì 11 maggio a Roma, alla Ibs-Libraccio (alle ore 18:00 in via Chiana 69). Con Lidia Tilotta, saranno presenti Pietro Folena e Raffaella Lebboroni.