Un poemetto di cinquanta brevi strofe, l’ultimo libro di Andrea Bajani: L’amore viene prima (Feltrinelli, pp. 64, euro 10). L’amore, quello di un padre per il bambino appena nato, cerca una lingua che dica la trasparenza del desiderio. Un desiderio congiunto alla gioia per l’apparizione del nuovo essere. E da subito diventa affezione assoluta per i movimenti di un piccolo corpo che giorno dopo giorno, nell’arco di un mese, prende presenza e spazio, riconosce i volti, e via via si dispone, con tutto il fulgore del suo incantamento e del suo fisico adattarsi, dentro quella cosa immensa e oscura che chiamiamo vita. Quasi prendesse la misura corporea e percettiva del suo essere al mondo.

I GESTI MINIMI, quotidiani, ripetuti, e la loro risonanza nei pensieri e nello sguardo dei genitori, sono annotati dal padre su un quaderno, secondo i modi di una nitida scansione poetica: il verso è la forma più propria per accogliere quel «poco che è tutto», e che si mostra con un alone di grazia e di semplicità, irriducibile al dire ragionevole e al continuo della narrazione. Lo riconosce, l’autore, ad apertura: «La poesia ha pinze speciali, sa prendere le cose minime per poi liberarle, farle volare per tutti». E aggiunge: «Quello che ho tentato di far volare in queste strofe è quell’amore unico che si prova soltanto per chi ci segue sulla riga del tempo: è unico perché viene prima, persino prima che un bambino faccia la sua apparizione nel mondo».
I versi ritmano, nel passaggio dei giorni, il formarsi di un tempo e di uno spazio nel quale l’accadere è segnato dalle modificazioni – di peso, di sguardo, di pianto, di sonno – mostrate dal miracolo d’una quotidiana crescita, dall’energia di una progressiva presa di campo: l’apparizione mostra i suoi sensi, i suoi movimenti, il suo linguaggio, si fa ascolto dei suoni, percezione della luce e delle ombre, spavento per il buio, rapporto assoluto con il seno della madre, sbadiglio, grido, dimenticanza. E sorriso. La misura del giorno e della notte è affidata al metronomo di una presenza sulla quale converge ogni attenzione. Ecco le notti in bianco dei genitori, il rituale della bilancia, la testolina del piccolo affacciata al balcone del collo paterno («il tuo primo belvedere, /il davanzale da cui osservi il mondo».
Se nella corona di cinquanta ottave, Dimora naturale (Einaudi, 2020), che precede questo libro, lo stupore per le piccole apparizioni quotidiane, soprattutto animali, e la curiosità per le forme minime diventava passaggio conoscitivo verso la percezione del proprio stare in un mondo di esseri viventi e fruscianti e volanti, in questa nuova raccolta quel minimo prende la presenza di un bambino neonato, e i voli si raccolgono nella leggerezza di una presenza che ha sguardo, sorriso, desiderio.

ANCHE I VERSI di questo poemetto d’amore, nel loro modularsi linguistico, risentono di quella tensione fortemente visiva e insieme immaginativa propria del narratore Bajani. Per il quale l’affabulazione – si pensi solo al raccontare più recente, come al doloroso e lievissimo Un bene al mondo o al geometrico e visionario Il libro delle case – mentre diviene smuove la superficie del quotidiano, scorgendovi venature umbratili, riverberi di quel che cancellato non svanisce: la descrizione è anzitutto movimento dello sguardo che scorge dietro il nitore e la luce e il silenzio dei particolari un’animazione di tutto quel che appare, di tutto quel che chiamiamo il visibile. Un visibile che fluttua favolosamente verso i suoi confini. Ed è qui, infatti, che la narrazione incontra la poesia. Bajani è in questo cammino.