Visioni

Quel giorno con Leah

Quel giorno con Leah

Archivi L'editoriale di Carla Fracci, pubblicato su il manifesto del 10 aprile 2002, durante l'assedio israeliano a Jenin. L'artista aveva incontrato la vedova di Rabin Leah, a Chianciano, una conversazione intima e la memoria del premier israeliano ucciso in un attentato

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 28 maggio 2021

L eah Rabin l’ho conosciuta pochi mesi dopo che quel ragazzo, integralista israeliano di estrema destra, aveva sparato a morte a suo marito, Yitzhak Rabin, leader Nobel per la pace, ebreo come lui che aveva sparato. Era l’agosto 1996, a Rabin quel ragazzo sparò l’11 novembre dell’anno prima. La signora Rabin era una donna molto bella, per fierezza naturale, di appartenenza, una leonessa di grande razza. Sembrava scolpita, ebano e seta bianca, gli occhi poi così chiari che diventavano, quando il fervore la possedeva, via via sempre più chiari, fino a diventare due pozze di sola luce. La onoravano già chiamandola Pasionaria per la pace. Io mi ero rifugiata in una bella beauty-farm, a Chianciano. Avevo una tremenda paura dei miei sessant’anni che avrei compiuto dopo pochi giorni e volevo affrontarli a tu per tu con me sola.
Per fortuna non fu così. Il mio arrivo lì aveva fatto piccola notizia e quando la signora Rabin arrivò il mattino dopo il mio fu informata della mia presenza. Mi conosceva di fama, mi telefonò in camera e, molto semplicemente, ci vedemmo nel pomeriggio, nella terrazza dell’albergo, per un lunghissimo «tea-time» che si prolungò fino a sera inoltrata. Parlammo di tanto e di niente, ma anche dei figli, del paesaggio, del lavoro, del suo e del mio e dell’età che avanzava e del sonno che di notte tardava a consolarmi…

Parlava con affabilità e franchezza come volesse incitarmi a dire di più, con una gran voglia di conoscere e di rivelarsi. Proprio il contrario della riservatezza respingente che mi era stata predetta dal direttore dell’albergo. Si comportava come se mi conoscesse sin dall’infanzia, come una compagna di scuola. Aveva capito la mia inquietudine per il traguardo dell’età. «Ti do una cialdina che contiene un tranquillante leggero leggero… Me lo consigliarono nel momento più duro della mia vita. È leggero leggero… Ti farà dormire tranquilla…».
Dormii otto ore filate, un «miracolo» per me… L’indomani, nel pomeriggio, era il 19 agosto, decise di portarmi con sé; una gita in auto per quella campagna bellissima, anche se il cielo era coperto, meta una gelateria a Montecatini. Ci sedemmo a un tavolino all’aria aperta in mezzo alla confusione estiva di gente abbronzatissima. Piovigginava e sembrava proprio che, dal mare o dalle piscine, fossero arrivati tutti lì facendo un chiasso tremendo. Molti mi riconoscevano e, se pur gentili, mi aggredivano per chiedermi un autografo privandomi dell’intimità che, nonostante tutto quel casino, avrei raggiunta con la signora Rabin. «Ti conoscono tutti qui e ti vogliono anche molto bene… Non essere imbarazzata con me. Lo capisco perfettamente». Le proposi di andar via e, appena finito il gelato, pagammo e di nascosto, come due fuggiasche, ritornammo all’auto e ricominciammo, riprendendo la via del ritorno, facendo strade diverse, e il tramonto aveva avuto vittoria sulla pioggia e quella terra sembrava davvero risorta nella luce.

«Andiamo a cena a Cetona?» e andammo. Lei si era portata con sé un pacchettino dove si intuiva un libro e con un rigonfio su una superficie. Finalmente ci sedemmo io e lei sole. Era prima sera e quelli della trattoria gentilissimi. Prima di ordinare mi allungò il pacchettino, lo aprii emozionata. Conteneva una scatolina d’argento che a sua volta conteneva tante cialdine del tranquillante leggero leggero e un libro… Una vita insieme: il suo libro, dedicato a Yitzhak, al suo uomo da sempre, sparato a morte dal ragazzo estremista… Tre colpi e la fine di una idea. Tre colpi che fecero allontanare, forse per sempre, l’idea di un futuro di pace. Tre colpi ai quali poi si aggiunsero tanti altri colpi e che sparsero laghi di sangue.
La guardai smarrita, restai zitta, interrogandola con gli occhi dal profondo di me. «Non c’è nessun urlo per dire di quel dolore… Meglio silenzio definitivo… Ma ora il peggio arriverà implacabile, passerà poco tempo, pochi giorni e il peggio si abbatterà implacabile. Allora il dolore tra la povera gente farà da padrone negriero. Lo strazio tra la gente sarà uguale di là e di qua ei lutti saranno senza confini… Chi possiede molto avrà molto di più. Chi possiede pochino avrà ancora meno di quello che ha ora. Ma chi possiede molto non avrà che pochissimo amore. L’amore è cosa molto importante… Lo sa chi l’ha avuto e non ce l’ha più… perso per sempre…» e poi Leah Rabin, con un filo di voce, aggiunse: «Non ero presente al momento degli spari, furono tre colpi… So che l’ultimo gesto della sua vita fu quello di accendersi una sigaretta… Poi, all’ospedale, nella tasca sinistra della giacchetta di Yitzhak ritrovai il testo della canzone che aveva cantato poco prima di quei tre spari. Era macchiato di sangue… Era una canzone per la pace».

Sono quei tre spari che hanno cambiato la storia delMediterraneo?! Chi armò veramente la mano di quel giovane integralista?! Chi considerò per primo il petrolio un liquido più importante del sangue di tante donne e di tanti uomini scomparsi?!

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento