«Vendesi ampio appartamento ristrutturato / Porta blindata, allarme, parquet, soffitti in legno / riscaldamento autonomo, aria condizionata. / Animali nel prezzo». Così comincia Zoologia abitativa (Arcipelago Itaca Edizioni, pp. 70, euro 15), l’ultima prova poetica di Teodora Mastrototaro. Se nel precedente Legati i maiali il respiro e il battito cardiaco si spezzavano di fronte all’immane violenza dismembrante-estrattiva degli allevamenti intensivi e dei mattatoi, in questa silloge la poeta e drammaturga romana ci trasporta in uno spazio terso e perturbante – una casa con il suo corteo di presenze al contempo aliene e familiari –, dove è possibile pensare ed esperire una coabitazione rappacificata con quei viventi a cui abbiamo dato il nome di animali.

LA VIOLENZA non scompare dalla scena, come registrato fin dai primi versi: gli animali si comprano come le case e si comprano insieme alle case, ma le loro apparizioni, fugaci o insistenti, in questi spazi abitativi umani, troppo umani, ha la potenzialità di creare vie di fuga dentro il grigiore dell’ordinario, vie di fuga che da soli non saremmo neppure in grado di immaginare: «Mi piacciono le tue risposte variopinte / sopravvissute – che ritornano. / Ad ogni poi mi rimetto al tuo aspettare»; «Sono in abbandono alla tua grazia».
È in questi momenti d’incanto e di rarefatta sospensione – nel dolore e nella gioia del riconoscimento, del riconoscimento di una comunanza che scorre profonda tra pelle, peli, chitina e squame – che sfolgora, di stanza in stanza, una geometria dimessa – che, nella sua differenza, sembra ripetere le traiettorie trans-abitative di Calvino e Perec –, una geometria che, facendo incrociare destini, devia dalla narrazione dominante del rapporto umano/animale per offrire nuove istruzioni per non usare la vita.

Per riprendere la «classificazione zoologica» di Deleuze e Guattari, gli animali, le cui tracce segnano il corpo e le pagine di Mastrototaro, sono di sole due specie: animali edipici e animali demoniaci. E non è un caso che non compaiano animali archetipici nel bestiario dell’autrice: muoversi lontano dal nonluogo del mattatoio non corrisponde, infatti, a una smaterializzazione dei corpi. Anzi, gli animali che attraversano queste poesie/stanze non sono modelli d’altro, sono loro, proprio loro, esistenze insostituibili, sempre all’erta e in carne e ossa.
Da un lato, ecco allora il cardellino addolorato, chiuso «in gabbia / dove i vivi sono complici», dove «il cielo è la malattia quando rischi di / planare sulle dita» e dall’altro la zecca ambivalente, in grado di fondere repulsione e delicatezza: «Siamo il nostro gioco, / tu mi abiti e io detesto questa casa»; «Ti bacio come si bacia il fuoco che fa dolore, / che resta e muore».
Da un lato la gatta sorniona «ostaggio – a doppia chiave – / di questo giardino» e tuttavia capace di arrestare l’«orizzonte definito» con le «proiezioni delle vibrisse / che ti aprono linee nello spazio» e dall’altro lo sfuggevole ragno che ci fa specchiare dentro la sua tela: «Conosco poco della tua trama / ma è come se mi conoscessi, / come se mi raccontassi» nella «vergogna di una mosca / con cui tremare cadendo / senza volo». Da un lato la tartaruga resistente («Ti invecchi quasi per morire e / vieni fuori perché / dirmi di rimanere / mi riposa»), dall’altro la tenia e il millepiedi, entrambi osceni, che, da un altrove intimo (il frigo, il terriccio del giardino) e contemporaneamente lontanissimo (assenza di luce nelle viscere degli scarti o del sottosuolo), somministrano «il sacramento / in decomposizione».

Ma proprio come insegnano Deleuze e Guattari, poche righe dopo aver proposto la loro bizzarra tassonomia, tutti gli animali sono demoniaci – anche il «mio» cane, anche il «mio» gatto –, sono cioè capaci di catturarci in un divenire che ci trascina via dal sanguinario continente dell’umano. Ecco allora la lucertola che si ibrida con Mastrototaro: «Ricordo che tra le ciglia / conservo un pezzo della tua coda». Ecco il pesce rosso rinchiuso nell’acquario che si confonde con il padre malato: «Padre Alzheimer / demente – assente. / Padre museo. / Padre pesce rosso / giri in tondo dentro al vetro».
A questo punto, in quest’altro modo di abitare, in cui lo «zoo» della «zoologia» non significa più «Animale» ma una differente logica del senso, in cui le vite precarie entrano finalmente in relazione (simbiotica, parassitaria, di incontro, di scontro ma sempre e comunque trasformativa), è tempo di lasciare questa casa: «Nevica, / simile all’acqua ma sfinita. / Dalla casa sgorga in me questa bufera / che ci mantiene in vita e si allontana. / Eppure vi saluto / durante un’altra attesa». Con un’ultima avvertenza, però, in cui riluce per un’ultima volta la dolorosa gioia rappresa che percorre da capo a coda la creatura poetica di Mastrototaro: «Questa casa è un prodotto deperibile / conservare nella memoria».