Cultura

Quel filo che attraversa esistenze popolose e sacre

Quel filo che attraversa esistenze popolose e sacreFranco Marcoaldi, fotografia di Sara De Simone © licenza Wikicommons

POESIA «Animali in versi», la raccolta di Franco Marcoaldi nella riedizione arricchita Einaudi

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 28 giugno 2022

Forse non esistono altre opere di Franco Marcoaldi, in versi o in prosa, nelle quali la sua poetica risulti rappresentata meglio di quanto lo sia nella raccolta Animali in versi, già uscita da Einaudi nel 2006 e ripubblicata adesso, dalla stessa Einaudi, in una versione a tal punto arricchita e rivista da poter essere considerata come un’opera nuova tout court (pp. 116, euro 12). È come se un’intera poetica – in tutti i suoi tratti caratteristici, in quelli formali come in quelli sostanziali, nei suoni come nei contenuti – convergesse e precipitasse, qui, in un’opera sola.
È come se Animali in versi riunisse e contenesse, tutti insieme, i temi che a Marcoaldi sono più cari da sempre. O meglio: è come se, in una volta sola, ne rivelasse il senso ultimo, di sacralità terrena della vita, un sentimento di religiosità laica. La vita è sacra ora e qui, su questa terra, e gli animali, sembra volerci dire l’autore, più degli umani saprebbero rendere omaggio, onore e giustizia a questa sacralità, nel loro saper abitare il mondo con più rispetto di quanto sappiamo abitarlo noi.

PER LA VERITÀ l’opera di Marcoaldi è troppo ampia e varia per essere ricondotta ad unum. La compongono libri di versi e libri di prosa, testi narrativi e saggistici, scritti per il teatro, per il cinema, per la televisione. E quindi ridurla all’essenziale, come se davvero un libro solo potesse contenerla una volta per tutte, significherebbe farle un torto. Però, se c’è un filo che l’attraversa nella sua interezza, questo filo può essere individuato appunto nel tentativo incessante di afferrare quello che Robert Frost chiamava il «suono del senso». Come a dire: l’idea che la vita possa e debba essere vissuta, e che le cose succedano e possano essere percepite, attraverso gli organi di senso prima ancora che attraverso la ragione; l’idea che siamo quello che siamo come il frutto di un’interazione fra noi e il mondo, di cui siamo parte al di là e prima ancora di qualunque consapevolezza razionale, di qualunque lucida comprensione degli eventi. O come a dire, ancora, che non esiste un «io» che non si nutra della relazione in primo luogo emotiva e sensoriale con il mondo che lo circonda («Ciò che in me sente sta pensando», recita un verso di Pessoa): sembra questa, più di ogni altra, l’idea intorno alla quale Marcoaldi sembra andare costruendo da anni la sua personale cosmologia. E vi si può riconoscere l’eco di molti autori, quali Ovidio e Lucrezio, ai quali del resto lo stesso Marcoaldi ha fatto spesso esplicito riferimento, in passato, oppure Spinoza e Minkowski, per quanto invece mai citati espressamente.

QUEL CHE È CERTO è che non si tratta di conferire agli animali ruoli solo simbolici. Al contrario: Marcoaldi sembra voler dirci, attraverso Animali in versi, che dagli animali dovremmo veramente apprendere la giusta misura del nostro abitare il mondo. Come quando leggiamo, in una poesia che sembra quasi un manifesto: «Se è nell’intensità dei sensi/ che si gioca la partita/ sulla qualità di vita/ degli esseri viventi, allora/ l’animale trionfa sull’umano:/ gigante il primo ed il secondo un nano».
Cicale, fringuelli, api, rospi, capre, cavalli, cani, gatti: gli animali, nessuno escluso, come mondo creaturale quasi infinito e talvolta perfino invisibile, o quasi impercettibile («Un fischio un mormorio un ululato/ un canto: senza lasciare traccia/ qualche creatura ci è passata accanto»). Gli animali come nuda vita, come metafisica realizzata: è da loro che dovremmo imparare, in definitiva, «la pienezza/ di un’esistenza priva/ di ambivalenze, ripensamenti/ e stalli, ferocia senza crudeltà,/ dolcezza senza sdilinquimento:/ il racconto oggettivo/ della vita senza note/ a margine e commento».

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