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Quel che può il sindacato

Quel che può il sindacatoManifestazione della Cgil a Roma – Luigi Mistrulli

Contro la crisi Qualche silenzio e troppa timidezza ai piani alti della Cgil di fronte al trionfo del capitale finanziario. Orario di lavoro, reddito di cittadinanza, iniziative europee a difesa del salario, ringiovanire i quadri

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 27 marzo 2015

Quella parte del gruppo dirigente della Cgil che dissente da Maurizio Landini per la costituzione di una Coalizione sociale – ancorché lo faccia per comprensibili ragioni – dovrebbe farsi un esame di coscienza. Viene infatti spontaneo chiedersi, di fronte agli sforzi del segretario della Fiom di porre argini a una situazione di estrema gravità di tutto il mondo del lavoro, quali iniziative abbia preso, quali proposte di mobilitazione e di lotta abbia avanzato negli ultimi sette terribili anni la Cgil.

Perché, bisogna ricordarlo, il periodo che va dal 2008 ad oggi, non è stato di ordinaria storia del mondo.

L’Italia, se escludiamo le due guerre mondiali, non aveva mai conosciuto, nella sua storia unitaria, una così estesa riduzione della sua base produttiva, un crollo così rovinoso dell’occupazione, un dilagare continuo e senza argini della povertà e della disperazione sociale. Eppure, un osservatore straniero che fosse vissuto in Italia in questi anni difficilmente avrebbe immaginato che nel nostro paese opera uno dei più antichi e potenti sindacati dell’Occidente. Ma, senza voler qui aprire un infinito rosario di recriminazioni, occorrerebbe almeno ricordare che l’inerzia e il silenzio del sindacato hanno non poco favorito l’iniziativa dei novatori.

Renzi si è presentato come il difensore dei giovani e dei precari, con l’iniziativa del Jobs Act. Può bastare uno sciopero generale a fermarlo? Chi ha permesso che l’iniziativa di riforma del mercato del lavoro venisse ispirata dalla Confindustria? Eppure dovrebbe essere evidente che oggi l’avversario di classe -ripristiniamo questo termine di verità nel linguaggio della politica- ha capito il gioco che il sindacato (e la sinistra) stenta a capire. Alla bulimia consumistica dei cittadini del nostro tempo occorre dare in pasto sempre nuovi prodotti . Basta che siano nuovi all’apparenza. Se poi il nuovo che si impone demolisce antichi diritti, cosa importa, visto che questo è il suo autentico fine? L’importante è «andare verso il futuro».

Lo Statuto dei lavoratori? Ma è roba del 1970, un edificio obsoleto. Figuriamoci la Costituzione, che è del lontanissimo 1948! Volete mettere il Jobs Act, un prodotto nuovissimo, per giunta in smagliante lingua inglese, la lingua corrente dei nostri operai e impiegati?

La menzogna pubblicitaria che oggi ispira la politica rivela, fra le altre cose, come il conflitto insonne che i poteri economici e finanziari muovono contro i lavoratori persegue sempre più l’innovazione simbolica e cerca di raggiungere pubblici vasti. Perciò restare fermi, silenziosi, dentro i luoghi di lavoro o i propri uffici, come ha fatto la Cgil in molte occasioni, in difesa dell’esistente, dei vecchi e consolidati diritti, ha portato e porterà a continue sconfitte. Certo, la condizione della Cgil e di tutti i sindacati del mondo oggi è terribilmente difficile. Si è eclissata nei parlamenti la forza politica amica, i partiti comunisti o socialdemocratici. Gli imprenditori e i finanzieri possono aprire aziende, spostare capitali in ogni angolo del pianeta. I lavoratori e i sindacati sono inchiodati nel territorio delle nazioni. Ma che cosa è stato tentato per incominciare a fronteggiare una asimmetria così grave e penalizzante?

Ho spesso ricordato che l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) è stata fondata nel 1919 ed è ancora in vita, ma come un modesto ufficio studi. Eppure era nata come un generoso progetto universale della politica occidentale dopo la Grande Guerra, in difesa della classe che produceva la ricchezza di tutti i paesi. Oggi guida invece le sorti del mondo il Fondo Monetario Internazionale, nato nel 1945. Eppure nessuno osserva che dietro ad esso c’è solo l’interesse di alcune migliaia di banchieri, dietro l’Ilo ci sono diversi miliardi di lavoratori sparsi per il mondo. Quando faremo esplodere la potenza di tale contraddizione? Non è possibile cominciare a tessere una rete internazionale che rivitalizzi tale organismo, o ne crei un altro nuovo? Quando incominceremo a porre in agenda l’obiettivo del salario minimo per tutti gli operai, di standard di base irrinunciabili delle condizioni e dell’orario di lavoro? Vaste programme, direbbe qualcuno, dal momento che da quando esiste l’Unione Europea non si era mai vista tanta inerzia sindacale e mancanza di azione comune nel Vecchio Continente.

Ma non esistono in Italia le figure capaci di un tale compito? Non è possibile che i dirigenti della Cgil si guardino intorno e vedano tanti nostri giovani, le migliori e più colte intelligenze del nostro paese, che scappano all’estero? E perché non scegliere tra questi i tanti talenti che potrebbero portare energia, idee, motivazioni, conoscenza di lingue e realtà sociali in grado di ridare giovinezza, saperi, visione internazionale al sindacato italiano? Li dobbiamo lasciare alle imprese? Quale salto di qualità potrebbe compiere la creatività della Cgil se una nuova leva di giovani trentenni, oggi precari in Italia e nel mondo, venisse fatta entrare con specifici compiti dirigenziali?

Avanzo tale proposta non solo perché la sinistra si dovrebbe porre il problema dei nostri giovani intellettuali. Ma anche perché il sindacato oggi potrebbe far tesoro di una sua antica istituzione, in grado di ridargli una nuova vitalità. Nata nel 1891 a Milano, la Camera del Lavoro è stata una geniale invenzione. Essa metteva insieme le diverse categorie operaie in unico centro territoriale, mentre lo sviluppo capitalistico si diversificava e articolava le sue geografie. E oggi? Non sappiamo da tempo che il lavoro, precario, alterno, reso autonomo, frantumato, delocalizzato, subappaltato, ecc. sempre meno ritrova unità in un luogo determinato?

E allora, che cosa si aspetta a ridare nuova vitalità a tali centri, dove possano confluire non solo i lavoratori e i pensionati per pratiche di patronato, ma anche i disoccupati, le partite Iva, i ricercatori, gli studenti ? E’ una istituzione a base territoriale quella che oggi può fornire uno spazio di unità a un universo sociale in frantumi. Le Camere del Lavoro dovrebbero dunque essere accresciute nelle grandi città, ma anche fatti nascere in ogni comune, potenziate dove già esistono. Si pensi alla funzione aggregativa che potrebbero svolgere oggi nel Mezzogiorno, dove i i giovani disoccupati sono murati in casa, soli con la loro disperazione.

Naturalmente, una soluzione organizzativa non è una politica, ma già darebbe un segnale di movimento. Mentre i temi politici certo non mancano.

Landini ha confessato con onestà di essere stato in passato contrario alla concessione del reddito minimo. Si tratta di perplessità comprensibili, diffuse nella sinistra. Incertezze che nascono dal fatto che essa ha abbandonato da tempo il terreno sociale e teorico da cui è nata: l’analisi del mondo del lavoro come parte costitutiva del capitalismo contemporaneo. Marx ha disvelato l’origine della ricchezza e della sua diseguale distribuzione, ricostruendo l’architettura dell’intera società, partendo dal lavoro. Una analisi non superficiale del capitale ci dice che oggi esso ha sempre meno bisogno di lavoro vivo, per via dei processi accelerati di automazione e per il vantaggio di poter trasformare direttamente il danaro in altro danaro.

Ma uno sguardo ai nostri ultimi anni ci dice anche che il capitale ha un interesse politico a far scarseggiare il lavoro, a renderlo raro e incerto, perché così può tenerlo sotto ricatto, rafforzare il suo rapporto di dominio. Il lavoro è elemento vitale del capitale, ma anche suo avversario. Le imprese lo sanno bene, la sinistra l’ha dimenticato, pensando che il capitale si riduca alle piccole imprese familiari del Nordest.

Il reddito minimo può sottrarre i lavoratori e la nostra gioventù al grande ricatto. La Coalizione sociale può trovare in tale obiettivo una via per costruire un consenso vasto e vittorioso.

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