Quel «beatbox» dei grandi oranghi
Scienza Uno studio, pubblicato dal primatologo portoghese Adriano Lameira dell’università di Warwick (Regno Unito) e l’ecologa olandese Madeleine Hardus rivela che queste scimmie antropomorfe sanno produrre vocali e consonanti allo stesso tempo. Nel 2016, i due ricercatori avevano dimostrato che riescono persino a imparare lingue di altre specie
Si chiama «beatbox» una delle forme di espressione più popolari tra gli artisti di strada. Rispetto a chi deve montare un cavalletto per eseguire caricature o trasportare clave, torce e altra giocoleria per «fare cappello» ha un vantaggio innegabile: non richiede altro che la propria voce, magari amplificata da un microfono con un piccolo altoparlante e consente di mettere in scena uno spettacolo notevole con pochissimi mezzi. Anche a chi legge sarà capitato di fermarsi di fronte a un «beatboxer» nei quartieri turistici delle città: difficile non restare affascinati da come, usando solo corde vocali, lingua, labbra e guance, questi artisti riescano a riprodurre la batteria, il basso, le voce più gli altri suoni tipici della musica hip hop. Tutti insieme.
DAL BOOM degli anni Ottanta a oggi il beatbox è evoluto, ha avuto le sue star e ha conosciuto aspre rivalità nate in strada per stabilire chi fosse il più bravo. Ma l’arte del beatbox arriva da più lontano: secondo Wikipedia era già in uso nella musica rurale statunitense dell’Ottocento, o addirittura in quella tradizionale africana. Forse è alla portata di tanti: anche se in forme meno elaborate di quelle che può capitare di ascoltare oggi sulla metropolitana di New York, a sovrapporre in qualche modo i suoni siamo capaci quasi tutti, indipendentemente dalla cultura di provenienza. Potrebbe non essere altro che un requisito della lingua parlata che richiede di alternare rapidamente insieme consonanti e vocali: un gesto che agli esseri umani riesce notoriamente bene.
Con le parole, anzi, siamo probabilmente i più bravi del pianeta. Tuttavia, non siamo gli unici a far uscire insieme suoni diversi dalla bocca. Ci riescono anche uccelli canori e pappagalli. E qui le cose si complicano: perché questa capacità fonatoria, decisiva per il nostro successo evolutivo, si ritrova solo in specie così lontane del regno animale come Homo sapiens e una manciata di pennuti?
UNO STUDIO appena pubblicato sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academies of Sciences (Pnas) Nexus inizia a rispondere a questo quesito. A firmarlo sono il primatologo portoghese Adriano Lameira dell’università di Warwick (Regno Unito) e l’ecologa olandese Madeleine Hardus, che fanno coppia anche nella vita privata. Dopo quasi quattromila ore trascorse nella giungla indonesiana del Borneo e di Sumatra con un microfono in mano, hanno scoperto che anche l’orango sovrappone i suoni come i beatboxer umani e i volatili. «Gli umani – spiega Lameira – usano le labbra, la lingua e il palato per produrre il suono delle consonanti e allo stesso tempo attivano le corde vocali all’interno della laringe per produrre il suono aperto delle vocali espirando l’aria. Anche gli oranghi sono capaci di produrre questi due tipi di suono. E tutti simultaneamente».
Dopo quasi quattromila ore trascorse nella giungla del Borneo e di Sumatra, Lameira e Hardus hanno scoperto che questi primati sovrappongono i suoni, come umani e volatili
IL REPERTORIO È RICCO. «I grandi maschi di orango del Borneo fanno versi noti come «chomp» (il rumore della masticazione, ndr) e «grumble» (brontolio, ndr) nelle situazioni di combattimento» racconta il ricercatore. «Le femmine di Sumatra producono ’kiss squeaking’ (baci con lo schiocco, ndr) insieme a ’rolling call’ (versi di allarme, ndr) per avvertire gli altri della possibile minaccia di un predatore».
Dalle registrazioni raccolte dai ricercatori e disponibili sul sito della rivista si sente effettivamente un sonoro bacio sovrapposto a un grugnito ripetuto a cadenza regolare. «Il fatto che abbiamo ascoltato due popolazioni separate di oranghi sovrapporre due versi simultanei dimostra che si tratta di un fenomeno di natura biologica», cioè non acquisita solo da un gruppo particolare.
Non è la prima volta che questi animali dimostrano abilità linguistiche fuori dal comune. Lameira, Hardus e altri colleghi avevano già mostrato nel 2012 che popolazioni diverse di oranghi producono versi distinti e questo suggerisce che gli oranghi siano capaci di inventare, insegnare e imparare nuovi suoni dai propri simili. In questo, ricordano i grandi cetacei.
Nel 2016, Lameira e Hardus avevano dimostrato che gli oranghi sanno persino imparare lingue appartenenti ad altre specie: Rocky, un orango undicenne che viveva nello zoo di Indianapolis (Usa), riusciva a rispondere ai suoni umani imitandoli con vocalizzi dapprima sconosciuti all’animale – aveva pure imparato a fischiettare – e sapeva usare questa capacità per stimolare la collaborazione, cioè ottenere cibo dai ricercatori.
QUELL’ESPERIMENTO, per la prima volta, mostrò che le basi anatomiche e cognitive per lo sviluppo di una lingua parlata sono presenti in altri primati oltre a noi. Le registrazioni del beatbox degli oranghi confermano che queste grandi scimmie antropomorfe condividono anche la capacità di usare la voce con una certa maestria. E ciò potrebbe insegnarci qualcosa in più sulla nostra capacità di comunicare.
L’origine del linguaggio umano è uno dei misteri più affascinanti con cui si misurano gli scienziati. Homo sapiens sembra l’unica specie in grado di possederne uno – anzi, ben più di uno – con una simile complessità. Il nostro talento linguistico è probabilmente alla base del nostro successo evolutivo che adesso, a causa degli sconvolgimenti ambientali che abbiamo provocato, rischia di travolgerci.
IL LINGUAGGIO consente infatti di condividere miti, conoscenze e tecnologie che ci aiutano a modificare il nostro habitat. Cosa abbia permesso solo a noi di sviluppare un linguaggio parlato così articolato però non è chiaro a nessuno. Alcuni ipotizzano che il segreto del linguaggio vada ricercato nelle strutture cerebrali. Altri nella particolare anatomia del nostro apparato fonatorio. In ogni caso, è difficile fare progressi, finché queste ipotesi devono essere convalidate cercando somiglianze solo tra Homo sapiens e uccelli. «La produzione di due suoni come avviene negli uccelli ricorda un linguaggio parlato», spiega Hardus. «Ma l’anatomia degli uccelli non assomiglia alla nostra. Perciò è difficile immaginare un legame tra i versi degli uccelli e il linguaggio parlato umano».
La ricchezza del loro comportamento sta diminuendo a causa della deforestazione che limita l’area a loro disposizione e ne mette a repentaglio la sopravvivenza
IL PARAGONE con gli oranghi può rivelarsi decisamente più fertile. Studiando analogie e differenze tra primati potrebbe aiutarci capire quali fattori abbiano favorito lo sviluppo della lingua parlata. «Ora che sappiamo che questa abilità vocale appartiene a queste grandi scimmie non possiamo ignorare le somiglianze evolutive» spiega Lameira. «Potrebbe darsi che il primo linguaggio umano assomigliasse a qualcosa che ricorda il beatboxing, prima che l’evoluzione organizzasse la lingua nella struttura consonante-vocale che conosciamo oggi».
Nel loro studio, Lameira e Hardus lanciano anche un allarme: dall’Asia all’Africa la ricchezza del comportamento dei primati sta diminuendo a causa della deforestazione che limita l’area a loro disposizione e ne mette a repentaglio la sopravvivenza. Dunque il tempo a disposizione degli studiosi si sta esaurendo. La crisi ambientale ribalta dunque la gerarchia tra gli umani e il resto dell’ecosistema che ha caratterizzato la modernità: la conoscenza della natura non passa più dalla sua sottomissione. Al contrario, se vorremo capire l’origine del nostro linguaggio dovremo innanzitutto imparare a rispettare le altre specie.
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