Quei due ordigni alla Rinascente, tutti i sospetti portano a Ordine Nuovo
Un anno prima della strage di Piazza Fontana, a Milano, nel 1968, alla Rinascente, il grande magazzino con ingresso su Piazza Duomo, furono rinvenuti due ordigni, il primo il 30 agosto e il secondo il 15 dicembre, rispettivamente al sesto e al primo piano. Due bombe che non esplosero, per il basso voltaggio della batteria nel primo caso, perché scoperta e disinnescata prima dello scoppio, nel secondo. La prima bomba era mimetizzata in una scatola per scarpe da donna, mentre la seconda era stata nascosta, dato il periodo pre-natalizio in un pacco regalo.
NEI RAPPORTI di polizia si parlò per entrambe di «una carica di circa un chilogrammo di una materia granulosa bianca costituente una miscela di nitrato di potassio (64%) e di saccarosio (36%)», con «una bottiglia contenente liquido infiammabile». Ambedue dovevano essere innescate da «un congegno a orologeria collegato a una pila». Era la prima volta in assoluto che si riscontrava l’utilizzo di un timer. Nei precedenti attentati nel 1968 a Milano, alla Citroen, alla Banca d’Italia, alla Biblioteca Ambrosiana e alla Montedison, tutti commessi tra maggio e settembre, si era ricorso a inneschi a miccia. Si trattava tutti di attentati dimostrativi, di notte, in luoghi non frequentati, con l’intento di colpire dei simboli, regolarmente rivendicati con volantini lasciati sul posto, il più delle volte da gruppi anarchici. La potenza esplosiva era per altro bassissima. Ora ci si trovava di fronte a un salto di qualità, con bombe in grado di uccidere, con congegni a tempo, collocate in luoghi densamente frequentati, al pomeriggio, occultate in pacchetti da regalo o borse. Come sarà per le bombe, l’anno dopo, il 25 aprile 1969 alla Fiera Campionaria poco dopo le 19, allo stand della Fiat, e successivamente all’Ufficio Cambi della Stazione Centrale. La bomba alla Fiera, mezzo chilo di nitrato o clorato di potassio con timer alimentato da una pila elettrica, messa in una borsa nera, fece un ventina di feriti.
ALLA STAZIONE Centrale le bombe, due, devastarono alle 20.45 l’Ufficio Cambi della Banca Nazionale delle Comunicazioni, presenti solo degli impiegati, rimasti illesi. Ma fu l’Ufficio Politico della Questura, nel rapporto del suo commissario capo, Antonino Allegra, a ravvisare «le stesse caratteristiche sia di confezione che di materiale esplodente degli ordigni rinvenuti presso la Rinascente», accusando esplicitamente «gli anarchici», che avevano rivendicato l’attentato del 30 agosto, fatto singolarissimo, in anticipo con un documento dattiloscritto da parte della «Brigata Anarchica Ravachol», spedito il giorno prima in questura. Ciò nonostante per entrambi gli episodi sulla stampa milanese non comparve nemmeno una riga, silenzio assoluto. Polizia e magistratura, si coprirà in seguito, indagarono a lungo senza raggiungere alcun risultato. Come ebbe a scrivere Paolo Morando nel suo Prima di Piazza Fontana (Laterza, 2019), si stavano facendo «le prove» per la campagna contro gli anarchici, Giangiacomo Feltrinelli e la moglie Sibilla Melega, in seguito accusati innocenti proprio per le bombe del 25 aprile 1969. Alcuni di loro furono anche a lungo incarcerati. Per gli ordigni alla Fiera e alla Stazione Centrale verranno assolti, non così Franco Freda e Giovanni Ventura della cellula di Ordine Nuovo di Padova, che saranno condannati definitivamente nel gennaio 1987 a 15 anni per questi e per altri attentati, ben 17 in totale, tra cui 10 sui treni nell’agosto 1969.
RESTA FORTE il sospetto, come ipotizza Paolo Morando che anche le bombe alla Rinascente siano «state collocate dagli ordinovisti veneti, che avrebbero iniziato l’operazione che porterà a Piazza Fontana molto prima di quanto si è sempre creduto». A indicarlo i congegni a tempo, l’esplosivo, i luoghi affollati, la volontà di uccidere. Un marchio di fabbrica.
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