In natura, la sostanza può bastare a sé stessa. La cultura ha altri codici: la forma è il messaggio. L’antiquarium presso le scuderie di Villa Albani, per celebrare i dieci anni di attività della Fondazione Torlonia, espone – con ritrosia – dieci marmi recentemente restaurati della collezione, sotto la supervisione di Carlo Gasparri, già curatore con Salvatore Settis della mostra organizzata dal 2020 a Palazzo Caffarelli. L’antiquarium apre gratis al pubblico tutte le mattine, dal lunedì al sabato, dalle 9 alle 13, fino al 28 giugno. Per trovare la porta d’ingresso, stretta e con due scomodi gradini, bisogna cercare l’accesso più vicino al civico 92 di via Salaria.

NON SONO INFORMAZIONI superflue in una recensione. Ne sono questa volta la sinossi, perché non se ne ha traccia nemmeno sul sito www.fondazionetorlonia.org. Dove invece troviamo un video con Alessandro Poma Murialdo, erede del banchiere Alessandro Torlonia – colui che secondo Antonio Cederna aveva accatastato seicentoventi sculture «come un ammasso di detriti» in via della Lungara – a ricordare che le opere sono conservate «sotto l’alta sorveglianza del Ministero della cultura, con cui sono stati condivisi i criteri di conduzione dei progetti». Si continua con l’elenco dei risultati ottenuti: «l’apertura dei Laboratori Torlonia per lo studio e il restauro degli oltre seicento marmi Torlonia e l’innovativo programma di conservazione di Villa Albani Torlonia».

MENTRE LA COLLEZIONE al completo resta inaccessibile nei magazzini, senza nemmeno il palliativo di un catalogo consultabile, nessun accenno è rivolto alla «sede espositiva permanente per l’apertura di un nuovo Museo Torlonia» di cui scriveva il Ministero e su cui ragionava lo stesso Gasparri in un’intervista rilasciata al manifesto il 4 marzo 2020. Nonostante si parli di ricreare «un dialogo costante con la città di Roma». Nonostante Carlotta Loverini Botta – direttrice della Fondazione – sottolinei come l’antiquarium «ci consenta di essere sempre più inclusivi e di portare avanti al meglio i progetti di promozione delle collezioni rivolti soprattutto agli studenti e agli studiosi che sono al cuore della missione della Fondazione tanto quanto le attività di restauro».
Questa la forma – trincerata nella potenza, renitente all’atto – di un’esposizione il cui unico tentativo di contestualizzazione è delegato al contenitore: un antiquarium posto all’interno di una villa privata visitabile scaricando e compilando un modulo di richiesta.

GRATUITAMENTE, anche se «sono graditi» contributi «d’importo minimo individuale di euro 50» che costituiscono titolo preferenziale per l’assegnazione delle date a disposizione. La sensazione è quella della concessione, della magnanimità. Della costituzione ottriata, se volessimo usare un francesismo, qualora pensassimo alla mostra dell’anno. Quella che, proprio quando chiuderà l’appartata esposizione romana, esordirà sul palcoscenico della Parigi olimpica. Quella in evidenza sul sito della Fondazione: visitabile al Louvre, dal 26 giugno – esattamente un mese prima dell’inaugurazione dei Giochi – all’11 novembre.

SULLA SOSTANZA, invece, nulla da eccepire. Dieci capolavori, seppur trattati come nani da giardino. Restaurati bene e con il controllo della Soprintendenza Speciale di Roma. Quattro marmi nella prima stanza; una naiade con due idrie e il torso di un compagno di Ulisse sui due lati nel corridoio di passaggio; altri quattro marmi nella stanza di fondo. Al centro, il gruppo composto da Eros su una biga trainata da due cinghiali. Da solo racconta la storia del collezionismo di antichità a Roma. L’Eros, acquisito dallo scultore Bartolomeo Cavaceppi, era stato collocato all’inizio dell’Ottocento nella residenza posseduta dalla famiglia a Piazza Venezia. Il cinghiale di destra è antico, quello di sinistra moderno. I tre pezzi sono stati montati in una composizione ispirata a un fregio rinvenuto a Villa Adriana, con amorini che gareggiano guidando carri trainati da coppie di animali. Dopo il 28 giugno, quando e dove potremo di nuovo ammirarli?