Nell’ultima definizione di museo – approvata dall’International Council of Museums (Icom) a Praga nel 2022 – si sottolinea che i musei, istituzioni senza scopo di lucro e al servizio della società, «operano e comunicano in modo etico e professionale». Eppure, in barba a tali principi, chi da fine febbraio al primo marzo ha visitato il Museo nazionale archeologico di Napoli (Mann) ha subito un deliberato inganno. I visitatori affollatisi, al costo di 18 euro (questo il prezzo del biglietto in seguito a una recente e immotivata maggiorazione), al secondo piano della prestigiosa istituzione partenopea non hanno infatti resistito al richiamo di un selfie con i celeberrimi Corridori di Ercolano, due delle statue più emblematiche del museo, appartenenti alla collezione della Villa dei Papiri. Peccato avessero davanti delle copie e nemmeno particolarmente accurate.

A UNO SGUARDO ESPERTO non possono infatti sfuggire certi dettagli, come gli occhi dipinti, il cui effetto è ben lontano dalla maestria degli artisti romani, i quali impressero ai due bronzi quell’inconfondibile espressione tesa e al contempo assorta, capace di attraversare i secoli con l’intensità di globi oculari in osso e avorio, e di iridi e pupille in fulgente pietra scura. Difficile, tuttavia, per un pubblico di non specialisti smascherare il raggiro, tanto più che le didascalie non indicavano si trattasse, appunto, di riproduzioni.
D’altra parte, gli «atleti» rinvenuti nel 1754 nel portico della sontuosa domus ercolanese famosa per aver restituito quasi 2000 papiri, hanno lasciato il museo di soppiatto – e dire che si tratta di due opere identitarie teoricamente escluse dal prestito (invece reiterato) – per «arredare», con l’Uomo in movimento di Boccioni proveniente dalla Galleria nazionale di Cosenza, la sfilata di Bottega Veneta alla Milano Fashion Week.

A SVELARE L’ABUSO perpetrato dal Mann alcune immagini del défilé del 25 febbraio circolate sui social network. Una di esse ritrae il direttore generale dei musei Massimo Osanna e l’attrice Salma Hayek mentre mimano divertiti la posa dei due «corridori», allestiti dallo studio parigino Bureau Betak su piedistalli rivestiti di tessuto maculato, tanto pacchiani quanto irrispettosi del contesto delle opere antiche. Hayek è la moglie del magnate François-Henri Pinault, presidente del gruppo Kering, che controlla diversi brand di lusso compreso il marchio Bottega Veneta, nonché noto collezionista d’arte e fondatore di Artemis, società che detiene la quota di maggioranza della casa d’asta Christie’s. I coniugi gravitano nella potente cerchia di amicizie di Osanna, come sbandierato sulla stampa in occasione delle nozze di quest’ultimo con Gianluca De Marchi, amministratore delegato di Urban Vision, azienda leader in comunicazione outdoor e in progetti di restauro sponsorizzato di edifici pubblici e privati. Partner del MiC, Urban Vision annovera tra i suoi clienti anche Bottega Veneta. È dunque lecito supporre per quali vie privilegiate e illegittime le due sculture del I secolo a.C. siano state prelevate da un museo statale per esigenze di business estranee alla fruizione del patrimonio pubblico.
In ulteriori fotografie diffuse dal Milano Fashion Institute e inerenti a una conferenza sull’arte italiana e il design, svoltasi il giorno prima della sfilata negli spazi di Bottega Veneta, si riconosce il direttore del Mann Paolo Giulierini tra i bronzi di Ercolano e l’Uomo futurista di Boccioni, sistemati all’uopo. Non stupisce che l’indecente uso privatistico dei preziosi e fragili reperti vesuviani, variamente immortalati tra modelli, vip esagitati, facoltosi studenti e camerieri che servono da bere, sia stato avallato dall’etruscologo di Cortona, nominato dal Pd di Renzi ma a caccia di un riposizionamento nel ministero retto ora da Sangiuliano. In carica dal 2015, Giulierini amministra il Mann alla stregua di un emporio, nel quale autorizza ogni sorta di eventi e promuove mostre perlopiù commerciali (spesso in contrasto con la missione culturale del museo) e dal quale vengono continuamente sottratti alla comunità pezzi – anche inamovibili e delicatissimi, come il Vaso blu da Pompei – della collezione permanente.

ALCUNE OPERE, quali il possente e magnifico Atlante Farnese, sono sottoposte a viaggi talmente frequenti che nei periodi di transito tra una mostra e l’altra sostano in sala su pallet, pronte a ripartire. Così mentre le vetrine e le pareti del Mann si svuotano a detrimento dei visitatori paganti, oggetti unici e dal valore inestimabile arricchiscono – talvolta senza una reale motivazione scientifica – esposizioni italiane ed estere.
Tra i numerosi casi vi è quello della gemma detta «Tazza Farnese», esibita all’interno di un oblò nella recente rassegna Recycling Beauty alla Fondazione Prada. Due affreschi pompeiani, intanto, hanno raggiunto Marsiglia per la mostra su Alessandria d’Egitto al Mucem. Che tutto ciò succeda nel silenzio degli addetti ai lavori la dice lunga sulla deriva mercantile dei beni culturali, generata dalle politiche di Franceschini e appoggiata con rinnovato fervore dall’attuale ministro della Cultura.