E brucia il Trionfo della Morte, brucia. Letizia Battaglia lo accende e il furgone dei Masbedo si affaccia su Palermo. Quale Palermo sia più vera, se quella che si specchia in uno degli affreschi più celebri del Mediterraneo, figlio tragico e anonimo della città, o se in quei bambini che appaiono, mentre giocano, dietro le fiamme, non è bene chiederselo.

TUTTA PALERMO è vera e terribile, anche quella incisa nei faldoni dell’antico Archivio di Stato che, trasformati in roccia scistosa dal tempo e dall’oblio, recano graffiate le sorti di molti uomini e donne sparse per i secoli. Quell’Archivio che abita nell’ex convento di Santa Maria degli Angeli detto della «Gancia», edificato probabilmente dove sorgeva il famoso palazzo degli Emiri musulmani e dove si conserva anche la campana che, secondo la tradizione, il 4 aprile 1860, con il suo suono  diede inizio alla rivolta capeggiata da Francesco Riso. A Palermo il tessuto della Storia è sempre il macramè.
Tutto è estremamente fisico nelle due opere strettamente legate tra loro pensate dal duo di artisti per la Biennale nomade. Ma è Palermo a chiederlo, è la città dove ogni senso è costantemente sollecitato, sono le strade, i mandamenti e i palazzi che i visitatori di Manifesta scoprono nella loro emozionante bellezza, nel loro traballare altero sotto i colpi del tempo e spesso di troppi sguardi rivolti altrove, sono gli odori che da secoli mischiano oriente e occidente, lusso rutilante e miseria nerissima, profumi e fetori. Palermo, dove la cultura dialoga anche quando non parla la stessa lingua.
Anche le storie narrate da un vecchio furgone OM degli anni ’70, uguale a quelli che ancora capita di vedere rumoreggiare nelle strade della città, che i Masbedo hanno trasformato in Videomobile sono dialoghi. Dialoghi in forma di cammino, di performance in movimento tra artisti, cineasti, politici, autori e cittadine e cittadini anonimi che incrociano le loro storie, i loro ricordi, le loro opere e le loro vite sui monitor montati sul carro. Quei monitor che diventano un continuo rimando nel rimando, proprio come quando si racconta a voce la vita, spezzando e inframmezzando ricordi su ricordi, «Volevo raccontare cose belle e ho fatto vedere tanta bruttezza», dice Letizia alla bimba Aurora.

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COSÌ NELL’OMAGGIO a Vittorio De Seta vediamo volti, gesti, sguardi bellissimi immortalati dal regista nei suoi film ma silenziati per diventare epica pura che, come in un vichiano tempo dei Titani, si srotola davanti al misterioso Castel Utveggio sul Monte Pellegrino.
Quell’omaggio riprecipita l’interlocutore nell’antro buio dell’Archivio, nell’opera Protocol no. 90/6, dove in un faldone datato 1956 i due artisti hanno rinvenuto decine di appunti, segnalazioni, denunce, schedature di persone ritenute scomode come solo l’arte sa essere, in particolare i resoconti dei carabinieri di Petralia Sottana proprio sul regista ritenuto troppo comunista, troppo pericoloso. In quel luogo oscuro dove entrando non viene altro da fare che rimanere ammutoliti e cercare di far sì che sia la memoria, propria e collettiva, a far luce e a donare la parola alla sacra e sacrilega icona di Mimmo Cuticchio.
Ma bisogna uscire e respirare il caldo e tornare a Palazzo Costantino dove riposa e racconta il furgone, lì in mezzo al cortile del palazzo ai Quattro Canti sfregiato dai nazisti, dagli americani, dal consumismo e dagli ultimi  eredi che hanno venduto pavimenti, porte, sovrapporte, camino e arredi prestigiosi e uno dei meravigliosi pavimenti in maiolica del Palazzo si trova oggi in un lussuoso hotel di Parigi.

DAL PIANO NOBILE, l’imperatore Costantino, raffigurato nei bellissimi, sofferenti affreschi di Gioacchino Martorana e Giuseppe Velasco, osserva quelle storie di un oggi dilatato che diventano un poetico, visionario atto d’amore per la città. «Un turbinio, un caos, una babilonia di opinioni diverse. Le più ridicole, inconcepibili e contraddittorie. E ingenue, infantili, scandalizzate, apparentemente sensate, in realtà prive di ogni senso logico», scriveva Pasolini parlando dei suoi Comizi d’amore; e così i Masbedo capovolgono, sempre sul nuovo carretto, quella babilonia e ad apparire ingenue, infantili, scandalizzate sono le domande lette da ragazze, ragazzi, anziani, stranieri, sorridenti, compunti, stralunati, impettiti, incespicanti personaggi di un altro affresco che diventa il corpo di altre parole di Pasolini, di un altro e più reale amore, Al vostro amore si aggiunga la coscienza del vostro amore. Nel cortile buio del diruto palazzo o nel claustro del vecchio convento il lavoro dei Masbedo appare quindi un lavoro sulla forza della coscienza, della consapevolezza.