La piemontese Valentina Sumini assomiglia a quegli architetti del Rinascimento che erano allo stesso tempo ingegneri, umanisti e inventori. Oggi è «visiting professor» al Politecnico di Milano, «research affiliate» al Massachusetts Institutes of Technology (Mit) di Boston e «R&D specialist» per il gruppo Coesia di Bologna, specializzato in macchine industriali. Oltre a Filippo Brunelleschi, Sumini ricorda Ludovico Ariosto, il poeta che per primo immaginò Astolfo sulla Luna alla ricerca di sostanze utili ai terrestri. Anche secondo la Nasa nei prossimi decenni torneremo sul satellite in nome della «space economy» e Sumini sta progettando le infrastrutture che consentiranno ai coloni di abitare il nostro satellite. «L’italia – spiega – è coinvolta nel progetto della Nasa Artemis, che prevede la messa in orbita cis-lunare del Lunar Gateway e l’insediamento al polo sud lunare nel 2030. La tempistica attualmente è in ritardo, ma l’obiettivo a lungo termine è stato confermato. Un modulo del Lunar Gateway è già in costruzione a Torino e ho potuto vederlo con i miei occhi». Sumini il 18 giugno sarà ospite di Taobuk, il festival in cui scrittori, artisti, filosofi e scienziati incontrano il pubblico nel Teatro Antico di Taormina.

Professoressa Sumini, come si diventa architetti dello spazio?
Quando studiavo questa possibilità non c’era. Poi ho capito che si trattava di una frontiera di ricerca e che c’era spazio per idee nuove. Occupandomi di questi temi al Mit mi sono resa conto che gli architetti spaziali erano ancora quelli che avevano progettato la Stazione spaziale internazionale, con poca consapevolezza sulle nuove tecniche di progettazione computazionale e sulla robotica. Anche oggi c’è solo un master a Houston per questo tipo di studi, ma si diventa architetti dello spazio soprattutto facendo tanti progetti. Insegnare l’architettura spaziale è stimolante: per i miei studenti del Politecnico di Milano significa progettare la «città ideale», un po’ come si faceva nel Cinquecento.

Valentina Sumini

Quali sono i principali problemi da superare per costruire nello spazio?
Per progettare in ambienti estremi bisogna affrontare il problema dell’isolamento e del confinamento. L’architettura spaziale usa un approccio olistico che coinvolge discipline diverse e connesse: robotica, scienza dei materiali, medicina, interazione tra umano e robotico. Lo stiamo applicando nella progettazione di un «Moon Village» al polo sud lunare insieme all’Agenzia spaziale europea. La prima sfida per creare un insediamento a lungo termine è creare uno scudo di protezione dall’impatto di micrometeoriti e dalla radiazione, molto intensa perché ci si trova all’esterno delle fasce di Van Allen (i campi magnetici che proteggono la Terra dai raggi cosmici, ndr). L’assenza di atmosfera è stata risolta con moduli pressurizzati, basati su un telaio rigido e membrane gonfiabili. La schermatura si può realizzare con diversi materiali ricchi di idrogeno, come l’acqua. Sulla Luna ci sono depositi di ghiaccio ma trasportarlo non è facile. Allora si può usare il terreno, la regolite lunare utilizzata per creare mattoncini o stampe in 3D. Ci sono diverse attività di ricerca in questo campo. A assemblare i mattoncini di regolite ci penseranno dei robot mobili.

Bastano i materiali reperiti sulla Luna?
Il materiale gonfiabile si può trasportare, perché è realizzato in speciali materiali tessili. Lo scudo no, e saranno necessarie lunghe ricerche sui mattoni in regolite per trovare un metodo di fabbricazione nel vuoto a temperature estreme. Oltre alle infrastrutture del Moon Village bisogna pensare alla mobilità: l’obiettivo è realizzare dei veicoli abitabili in grado di ospitare quattro astronauti, ed è un altro progetto a cui stiamo lavorando.

Cosa si mangerà nel villaggio lunare?
Si pensa di sfruttare le serre idroponiche, cioè la coltivazione in acqua. Sarà possibile coltivare diversi vegetali: pomodori, lattuga e altre piante a foglia verde di piccole dimensioni, riso, girasole. L’obiettivo è creare una dieta bilanciata degli astronauti, il giusto mix di micro e macronutrienti. La «Space Meal App» li aiuterà a concepire un menù adattato con l’intelligenza artificiale. Abbiamo anche lavorato sul progetto di una cucina spaziale che minimizza i consumi energetici e di acqua e il tempo di preparazione delle ricette. La «Engineered Space Kitchen» è basata su tecnologie a induzione, dispenser intelligenti e nuovi sistemi di cottura che non producono vapore.

Quanto tempo ci vorrà per realizzare il villaggio lunare?
Ci sarà una lunga fase in cui saranno i robot a costruire le piattaforme di lancio e di allunaggio, necessarie data l’irregolarità del suolo lunare. Serviranno anche strade per collegarli, perché per ragioni di sicurezza le piattaforme dovranno trovarsi a qualche chilometro di distanza dall’infrastruttura abitabile. In più i moduli dovranno essere assemblati su piattaforme mobili per essere trasportati sul punto di installazione e iniziare la costruzione dello scudo. Infine, il ciclo di crescita delle piante richiederà alcuni mesi per un primo raccolto. Perciò, per molto tempo il Lunar Gateway svolgerà un ruolo fondamentale. Ma non ci vorrà molto tempo: tra il 2030 e il 2035 potremmo vedere cose interessanti.

Cosa può insegnare ai terrestri la progettazione di cantieri lunari?
Progettare per lo spazio è un grande esercizio sull’economia circolare delle risorse con l’obiettivo di aumentare il benessere psicofisico umano. A questo scopo è necessaria una progettazione computazionale ottimizzata per il raggiungimento di più obiettivi: massimizzare gli spazi, minimizzare la massa, l’interoperabilità delle tecnologie. È qualcosa che si potrebbe adottare sulla terra. Ogni centimetro quadrato dell’infrastruttura deve essere coperto da sensori, con un flusso continuo di dati che permetta una manutenzione attiva della struttura, e il rilevamento rapido di eventuali anomalie. Qualche anno fa, per rilevare una perdita sulla Stazione spaziale internazionale gli astronauti hanno usato foglie di tè in microgravità per trovarla. Oggi possiamo e dobbiamo usare sensori e questo si può fare anche per le infrastrutture terrestri. C’è poi la tele-operazione, con enormi applicazioni industriali. La stampa 3D che sarà utilizzata nello spazio invece è già una realtà, negli Usa ci sono centinaia di case di cemento costruite così, con un aumento di sicurezza per i lavoratori. Dal punto di vista energetico, pannelli, batterie e tecnologie a basso consumo sono indubbiamente utili anche per la Terra. Infine ci sono nuovi bio-materiali: ad esempio il mycelium, un fungo che crescendo prende la forma del recipiente fino a occuparlo interamente. Può essere usato come materiale da costruzione nello spazio e non solo.

Le tensioni geopolitiche possono mettersi di traverso?
È un tema complicato su cui non voglio esprimermi. Ma alcune regole per stabilire un clima di cooperazione sono già state fissate. Dal 1967 esiste un trattato Onu sullo spazio extra-atmosferico. Inoltre ci sono documenti e direttive ufficiali per l’uso pacifico dello spazio. La missione Artemis della Nasa prevede dall’inizio moduli interoperabili con quelli che potranno essere costruiti da altre nazioni.

Gli Award 2023 al Teatro antico

Valentina Sumini sarà una tra le protagoniste dell’omaggio a Italo Calvino dal titolo «Dalle città invisibili alle città del
futuro» che si svolgerà domenica 18 giugno alle ore 20 in Piazza IX Aprile nell’ambito della XIII edizione di Taobuk Festival SeeSicily. Il festival si terrà a Taormina dal 15 al 19 giugno ed esplorerà con oltre 200 eventi il tema delle libertà. Sabato 17 giugno, nel corso del Taobuk Gala al Teatro Antico di Taormina, i Taobuk Award 2023 saranno conferiti al Premio Nobel per la Letteratura Annie Ernaux, alla scrittrice americana Joyce Carol Oates, all’iraniana Azar Nafisi, al musicista David Garrett, al divulgatore scientifico David Quammen, all’artista Giuseppe Penone, all’attrice Valeria Golino, agli attori e registi Edoardo Leo e Michele Placido, alla cantautrice Levante e alla coreografa Giulia Staccioli. Tra gli altri ospiti di questa edizione: Carmen Yanez, Daniel Mordzinski, Daniel Pennac, Vera Politkovskaya, i due Nobel per la Medicina Shinya Yamanaka e Gregg Leonard Semenza.