Queer Icons, ribaltando i ruoli di genere
Intervista Il fotografo norvegese Fin Serck-Hanssen racconta il suo progetto in quaranta scatti, adesso in mostra a Exposed Torino Foto Festival New Landscapes
Intervista Il fotografo norvegese Fin Serck-Hanssen racconta il suo progetto in quaranta scatti, adesso in mostra a Exposed Torino Foto Festival New Landscapes
Fluttuano su teli leggeri gli oltre quaranta scatti del fotografo norvegese Fin Serck-Hanssen nel progetto Queer Icons. L’installazione, pensata da Harald Lunde Helgesen, è volutamente mobile come la tematica queer che rappresenta, aperta e in continua evoluzione. Tessuti vivi e mobili che si agitano come in una danza. Fra i personaggi scelti, uomini e donne che hanno contribuito a creare l’attuale società norvegese grazie alle battaglie e all’impegno per l’emancipazione e si sono opposti a qualsiasi forma di discriminazione, anche Gerd Brantenberg, attivista fra le fondatrici del movimento lesbico e autrice di Le figlie di Egalia, con oltre un milione di libri venduti nel mondo.
L’obiettivo ha immortalato persone note e meno che si sono distinte nella lotta per i diritti lgbtqi+, come Brantenberg che nel testo ha ridefinito i ruoli di genere ribaltandoli, dando il potere alle donne mentre gli uomini si occupavano della casa. Un romanzo considerato talmente scandaloso che negli anni ’80 per visitare gli Usa la scrittrice ha dovuto ottenere un permesso speciale perché considerata una minaccia alla sicurezza nazionale. Oltre a lei artisti, militanti, drag, modelli, coppie, famiglie e Kim Friele, scomparsa nel 2021, fondatrice di importanti movimenti in Norvegia, tanto da essere citata nei testi di storia.
A ispirare Queer Icons la regina della notte Nelly Nylon, animatrice di feste e protagonista della vita notturna, ripresa in un abito di paillettes, con una vistosa parrucca rossa e gli occhi marcatamente truccati. Il fotografo Serck-Hanssen, classe 1958, è stato tra i primi artisti nel paese a lavorare sulla tematica queer e a documentare nei primi anni ’80 gli effetti dell’hiv e dell’aids. La carrellata di volti in mostra racconta le vite e le storie della comunità omosessuale e le conquiste raggiunte, come quella della prima donna ministro di culto. La macchina fotografica ha catturato la vita fuori dalla norma fra feste e rivendicazioni, gioia e umorismo. La mostra, in corso a Exposed Torino Foto Festival New Landscapes, in collaborazione con Cavallerizza Reale – Paratissima, è fra gli ultimi progetti curati da Antonio Cataldo in veste di direttore artistico di Fotogalleriet Oslo, prima di ricoprire, nei prossimi mesi, il ruolo di decano alla Oslo National Academy of the Arts. In questa occasione alla serie si sono aggiunte sei icone italiane pensate ad hoc.
A Torino non poteva mancare un omaggio ad Angelo Pezzana fondatore nel 1971 del Fuori!, prima grande associazione gay italiana, e ad Anna Cuculo curatrice di una delle prime rubriche lesbiche. Ancora Betty Bee e Luxuria, prima donna trans in Parlamento, oltre all’artista Liliana Moro e Milovan Farronato, curatore di uno degli ultimi padiglioni Italia. Abbiamo rivolto alcune domande a Fin Serck-Hanssen e al curatore Tommaso Speretta.
Com’è nato «Queer Icons»?
Quando sono andato al London, lo storico gay club di Oslo, e ho incontrato un vecchio amico degli anni ’80 (Nelly Nylon, ndr) drag queen e attivista, che non vedevo da molto tempo. Ho pensato subito di dover documentare questo pezzo di storia prima che fosse tardi. Per farlo ho coinvolto gli scrittori Bjorn Hatterud e Caroline Ugelstad Elnaes per la parte narrativa. Fotogalleriet ha accettato il progetto, tuttora in corso, di raccontare la comunità nata prima del 1970, una generazione che ha contribuito alla storia norvegese. L’idea originale è iniziata con il libro Skeive Ikoner, poi nel 2022 il supporto di Fotogalleriet ha permesso di ampliare il progetto con la mostra che viaggia di scuola in scuola, in un formato facile da condividere. In quell’anno si è festeggiato il cinquantenario della depenalizzazione dell’omosessualità in Norvegia, ovvero l’abolizione della legge che la proibiva e puniva i comportamenti omoerotici. Per l’anniversario tante istituzioni nel paese hanno proposto programmi espositivi pubblici sul tema queer. Per i soggetti ho preso spunto e attinto dall’archivio norvegese per la storia queer, alcuni sono famosi, altri sono eroi di tutti i giorni che fanno piccole battaglie nelle loro città.
Quale evoluzione c’è stata negli anni nelle battaglie per i diritti?
Un evento ha scosso il movimento: l’attacco terroristico del 2022, alla vigilia del Pride. La sparatoria nel pub London e in altri luoghi. Per evitare il rischio di altri attacchi la polizia aveva deciso di annullare la parata, ma gli attivisti hanno manifestato per difenderla, è tornato fuori lo spirito che ha ispirato le battaglie degli anni ’70. La comunità queer in prima linea era composta soprattutto dalle cosiddette seconde generazioni, i nuovi cittadini, e si è battuta ridando impulso al movimento.
Com’è stata accolta la mostra in Norvegia?
Il fatto che sia inserita nei programmi delle scuole e che io, Bjorn e Caroline siamo di generazioni diverse, ha attirato molti giovani che ci hanno ritrovato persone simili in cui identificarsi nonostante lo scarto generazionale. Vedono rappresentate diversi tipi di vita e famiglie arcobaleno, le icone hanno funzionato da specchio in cui riconoscersi.
Nel contesto italiano ha trovato differenze?
Quando ho saputo della mostra in Italia ho pensato che sarebbe stato bello calare il progetto in un contesto locale per comunicare con il paese che ci ospita. Antonio Cataldo di Fotogalleriet e Tommaso Speretta mi hanno organizzato degli incontri. Si tratta di culture molto diverse, le sei icone non esauriscono il racconto.
TOMMASO SPERETTA: La visita alla mostra dell’ambasciatore norvegese a Roma ha avuto un valore politico. Proporre delle icone italiane in un momento così critico è un gesto simbolico per la possibilità di un’apertura verso alcune tematiche. Fra i primi interventi del nuovo governo italiano c’è stato quello di cancellare i certificati di nascita dei figli di famiglie omogenitoriali. C’è una forte ingerenza dello stato, soprattutto negli ultimi tempi. Si crea così una sorta di tensione fra la storia norvegese, in cui c’è stata una legge che ha vietato l’omosessualità, e che possiamo considerare «liberata», e quella italiana che quarant’anni dopo è ancora imprigionata rispetto ad alcune logiche… l’obiettivo è che il pubblico faccia una riflessione su come l’Italia non abbia ancora raggiunto quel traguardo.
Che tecnica ha usato per raccontare in immagini?
Un medio formato, soprattutto digitale, con luce naturale. Ho fatto decidere ai soggetti come essere fotografati, pochi si sono fatti ritrarre in studio. Cerco di metterli a proprio agio e creare empatia. Maurice Budini, di origini italiane che ha vissuto tutta la sua vita in Norvegia, appare con due modelli nudi abbracciati perché da giovane faceva il modello nelle accademie d’arte. La posa scultorea ricorda il suo passato, è un omaggio al suo lavoro. Forse il prossimo anno Queer Icons andrà in Polonia, sarebbe importante portarla lì. Ora sto lavorando sui corpi dei giovani affetti da neurofibromatosi, una malattia che provoca vesciche e piaghe sulla pelle. Spero anche di realizzare un altro libro con Tommaso Speretta sul tema del corpo in relazione all’archivio.
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