Quattro schiaffi a Gentiloni. I renziani disertano il Cdm
Bankitalia Il governo dà il via libera a Visco ma Boschi, Lotti, Martina e Delrio non si presentano. Il premier spiazzato e irritato, preoccupazione tra i dem per le mosse scomposte del segretario
Bankitalia Il governo dà il via libera a Visco ma Boschi, Lotti, Martina e Delrio non si presentano. Il premier spiazzato e irritato, preoccupazione tra i dem per le mosse scomposte del segretario
Stavolta pare che Paolo Gentiloni l’abbia presa davvero male. Non si aspettava la diserzione in blocco dei ministri renziani dalla riunione del consiglio dei ministri che ieri ha convalidato la nomina di Ignazio Visco a governatore per altri sei anni di Bankitalia, subito firmata da Sergio Mattarella. In quello sgarbo ha intravisto la rottura di un vincolo di solidarietà che aveva resistito anche alla tempesta della mozione del Pd contro il governatore.
Gentiloni non è stato il solo ad accogliere come un pessimo presagio quelle sedie vuote. Assente Maria Elena Boschi, l’artefice del blitz contro Visco: malata. Assente Luca Lotti, l’alter ego di Renzi: impegni improrogabili. Assente il vicesegretario dem Maurizio Martina: a Napoli per limare l’intervento alla conferenza programmatica del partito. Assente il ministro Graziano Delrio: malato (ma nel suo caso il virus potrebbe non essere o non essere soltanto diplomatico). Non era mai successo finora e persino le voci che dall’interno del Pd provano a difendere la tesi ardita della coincidenza lo fanno senza pretendere di essere credute. E’ stato un segnale politico e non c’è nessun dubbio su chi abbia ordinato di lanciarlo. La mossa è di Matteo Renzi e questo spiega l’amarezza di Paolo Gentiloni. Sbraitare non è nel carattere dell’uomo. Lascia solo chiaramente intendere che il virus si è diffuso più di quanto non si pensasse persino dopo il braccio di ferro su Visco.
La riunione dura pochissimo, neppure mezz’ora, e nemmeno questa è una coincidenza. Parla solo Dario Franceschini e in sintesi chiarisce che con quelle assenze c’è ben poco da dire. Basta convalidare la decisione del premier. A Napoli, nella conferenza programmatica, la lacerazione sembrerà ricucita. Forzare la mano non è nel carattere di Gentiloni e mettere in piazza un dissapore ormai profondo non conviene a nessuno. O forse potrebbe convenire solo al Renzi impegnato a imporre l’immagine del suo partito come slegato dal governo se non decisamente antigovernativo. Ma la tregua, sempre che nessuno la rompa, sarà solo momentanea. La temperatura è già molto più alta di quella che ha tenuto a casa Boschi, sia perché la pioggia di ieri è precipitata sul bagnato, sia perché la diserzione dei ministri renziani prelude probabilmente a nuovi affondi, in particolare proprio nella commissione parlamentare sulle banche.
Alla fine della riunione lampo quattro ministri del Pd si trattengono per una specie di vertice estemporaneo: Anna Finocchiaro, Dario Franceschini, Marco Minniti e Andrea Orlando. Quel che si dicono è top secret ma non ci vuole molto a immaginarlo, tanto più che i quattro partono da un’analisi comune: la certezza che Renzi abbia già imboccato la via di una propaganda che è e sempre più diventerà antigovernativa. Opinione che i quattro ritengono sia confermata anche dall’attacco di ieri sull’obbligo per i genitori di andare a prendere i figli a scuola, più che una critica quello del segretario è stato un uppercut.
Ma non c’è solo questo. In testa all’elenco delle preoccupazioni c’è l’isolamento in cui la linea di Renzi sta portando il partito. Prodi ha «spostato la tenda». Il governatore di Bankitalia è un nemico. Il capo dello Stato è offeso e inviperito. Il presidente della Bce Draghi diffidente. Il presidente emerito Giorgio Napolitano ha sparato a zero e ora il secondo cittadino dello Stato, già icona dell’antimafia, molla il partito e senza risparmiare nulla quanto a critiche radicali. E’ la strategia dell’«uno contro tutti» su cui punta Renzi nella speranza di tornare a essere per gli elettori il Rottamatore. I quattro ministri temono probabilmente che questa linea diventi anche quella dell’«uno contro gli elettori», con rischio che a finire rottamato sia il partito. Il tutto dopo che Renzi ha rispolverato il piglio dittatoriale, quello del leader che decide da solo, senza consultare nessuno, e che si prepara a stilare liste elettorali nelle quali ben pochi troveranno posto.
Il Pd è una casa satura di gas e in nessuna stanza se ne è accumulato tanto quanto nella delegazione al governo. Prima o poi la scintilla destinata a provocare l’esplosione scoccherà. Potrebbero essere le elezioni in Sicilia. Qualcuno, senza dubbio, ci conta e affila le armi.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento