Replica su in alto la via del Corso a Roma da piazza del Popolo a piazza Venezia una aerea, lunga e leggera strada di stelline, un etereo tappeto tramato di piccole, infinite perline accese. La chioma di una stella seguirono i pastori e i magi per giungere alla grotta. Nella ricorrenza di quel giorno la notte delle città si illumina di nuove luci a memoria di quella antica cometa. Così puoi scorgere d’infilata dalla piazza del Popolo la distesa di quel cielo scintillante fin laggiù, fino a piazza Venezia dove qualcosa brilla e in un tripudio scintillante nasconde l’algida, consueta prospettiva dei marmi bianchi del Vittoriano. Un imponente abete sfavilla e luccica, issato al centro della piazza ricoperto di lamine sottili trapunte di germogli vermigli.

Osservo fermo ai piedi dell’obelisco quel nastro di luce. La mezzanotte è appena passata e non ci fossero due venditori di rose che, con orientale gentilezza, mi han sorriso poco fa e ora li sento confabulare a dirsi certo come siano andati i loro floreali profitti e se sufficienti a contenere per loro, magari solo per poche ore, il male del mondo, sarei solo nella piazza. Ultimi clienti, i fidanzati, lei con la rosa rossa tenuta fra due dita per lo stelo, sono ormai davanti alla scalinata di Santa Maria del Popolo. Le fauci delle quattro leonesse di marmo riversano il fiotto d’acqua nelle vasche alla base dell’obelisco. Una, orientata verso i pini del Pincio, è al momento incontrastato appannaggio di due gabbiani, sontuosi natanti riflessi come in uno specchio.

Giro lo sguardo intorno e, ancora una volta, ammiro la vasta proporzione di questa piazza che quanto recinge e ciò che circoscrive mantiene nella dimensione di un ‘aperto’, di una spazialità che contiene una sua misura libera e la espande. Così le alte alberature che rivestono la salita al Pincio tanto presenti nel succedersi dei verdi, restano tuttavia emancipate da una cornice che si dica urbana e che qui pur trattiene il sapore pietroso del travertino e del laterizio, ma edulcorato nella dolce curvatura del duplice emiciclo che, come alludendo al circolare ripetersi del tempo, ospita le statue delle quattro stagioni.

Mi decido ad imboccare la via del Corso. Ne percorro un breve tratto iniziale e la luce delle tenui ghirlande di stelline già sfavilla sulla mia testa. Entro in una piccola magia, mi piace pensare. In quel gioco di lumini tremolanti sembra farsi più soffice il selciato dove poggio il piede, se ne alleggerisce il manto che par trasmettere un che di tiepido, di accogliente. C’è una pedana di legno circondata da una ringhiera metallica. Sui tre lati son allineati vasi ove crescono edere e alcuni rampicanti sempreverdi. Qua e là, a fior di terra, menano una loro grama vita certi fiori giallastri dalle macerate corolle.

Sul quarto lato di questo breve ‘balconcino’ allestito sulla via si affaccia un caffè bar che serve i clienti seduti ai tavoli ordinatamente disposti. Ora le saracinesche sono abbassate, i tavolini ricoverati all’interno.

Ecco che da un collettore che si apre nel gradino del marciapiede vicino alla pedana del bar, con una sua dignitosa sicurezza, senza fretta esce un topo. Mi guarda come potrebbe guardarmi il principe Odescalchi se mi incrociasse davanti al portone del suo palazzo. Ricambio lo sguardo, senza alcuna degnazione. Il nobile inquilino attende qualcuno e ora poco si cura di me. Infatti dal sotterraneo palazzo ecco sortire secondo una etichetta di priorità che intuisco altri cinque membri della famiglia. Forse due signore, mi pare, e dietro i ragazzi. Nelle loro eleganti grisaglie appena si volgono verso di me che cerco di darmi un tono di eleganza che possa stare alla pari col loro. Si recano, mi avvedo, a quelli che considerano i giardini del loro parco. Eccoli scalare i fianchi dei vasi e salire le pianticelle d’edera.

Uno tra i giovani corre veloce. Le due dame si trattengono tra i petali gualciti ad aspirare gli afrori del terriccio umido. Il principe non è entrato nel parco. Mi guarda e, direi quasi, con un cenno del capo mi volge un saluto. Poi guadagna un pertugio e vedo la sua coda sparire sotto le tavole della pedana. Sa che lì trovano briciole di panettone.