«La neutra superficie del do maggiore mozartiano non promette facile certezze, ma cela grandiose incognite», scrive Carli Ballola del Quintetto K. 515 di Mozart. Nel libretto del cd dell’Erato (Mozart, Strings Quintets K. 515 & 516, € 18,99), Raphaël Merlin, violoncello del Quartetto Ébène, confessa che per loro il K. 516 è stato «un’opera di riferimento, un barometro, un incontro determinante, un luogo di pellegrinaggio». L’esperienza dell’ascoltatore e, soprattutto, la lettura della partitura confermano la singolare irrequietezza di questi due quintetti. Si potrebbe provare un moto di fastidio per l’ovvietà di una nuova incisione mozartiana, quando tanta altra musica resta meno o per niente frequentata. Sarebbe una reazione sbagliata. E non solo perché il quartetto Ébène si dedica anche alla musica contemporanea, o per l’eccellenza dell’interpretazione dei due quintetti, ma perché davvero siamo di fronte a un fenomeno singolare. Il do maggiore, ad esempio, per nessuno dei tre compositori classici, è una tonalità rassicurante (Primo Concerto op. 15 per pianoforte, Sonata op. 53 di Beethoven).

Meno che mai lo è per Mozart, dei tre il più irrequieto, il meno fiducioso che il male del mondo possa essere superato da un atto della volontà. L’armonia mozartiana è perennemente attraversata da forze centrifughe, si regge su un equilibrio instabile. Fissati all’inizio i confini dell’ambito tonale, e talora solo con l’intonazione della tonica (Concerto K, 449) o con la triade arpeggiata – molti esempi in tutti e tre i compositori – per Mozart si apre un territorio di vagabondaggi armonici e di incertezze nella strutturazione dei periodi, che preludono a sviluppi futuri nel romanticismo e addirittura nel Novecento.

Il Quintetto in do maggiore, esposto il tema maggiore lo riespone, dopo 20 battute, in do minore. Il minuetto del Quintetto in sol minore non rispetta la scansione della frase in quattro più quattro battute, ma si allunga in 12 battute che non possono essere suddivise simmetricamente 4+4+4. L’effetto, tuttavia, all’ascolto, è che la simmetria sia rispettata, ciò che ha fatto parlare di armonia, di serenità, di equilibrio, e ha fatto versare fiumi di retorica sull’olimpicità di Mozart. Questa nuova incisione dei due quintetti mette in risalto, invece, proprio l’aspetto dell’irrequietezza, dell’instabilità perché il senso di un equilibrio, di una forma che tiene, e se si vuole, di una musica rasserenante, è in realtà ottenuto attraverso una scrittura irrequieta, indefinita, avventurosa, che ad ogni passo mette a rischio proprio il senso di armonia e di equilibrio. Si prenda il minuetto del K. 516: il tema è presentato con una regolare frase di quattro battute. Ma poi al terzo quarto della quarta battuta abbiamo l’urto di un accordo dissonante. Segue una frase lamentosa di due battute. Poi, al terzo quarto della seconda battuta, un altro accordo dissonante. Seguono sei battute di fitto contrappunto che si concludono, nella battuta seguente, sull’accordo di re minore, dominante di sol. La seconda sezione rimette, da capo, tutto in discussione, lavorata, mozartianamente, come una rielaborazione del tema.

Tutto ciò, al solo ascolto, i musicisti del quartetto Ébène (Pierre Colonet, Gabriel Le Mogadure, violini; Marie Chilemme, viola; Raphaël Merlin, violoncello, e la seconda viola di Antoine Tamestit) lo fanno percepire con chiarezza. Rispettano con puntigliosità tutte le indicazioni dinamiche: si ascolti l’improvviso forte dell’accordo dissonante del minuetto nel K. 516. Evitano una pedante scansione delle frasi, una troppo rigida lettura ritmica. Il discorso scivola flessibile, fluido, «liscio come sull’olio», secondo una bella definizione dello stesso Mozart. Il fraseggiare è libero, si avventura spesso in qualche rubato. Anche qui, è rispettata la volontà di Mozart, che si vantava di non fare andare insieme al pianoforte la sua destra con la sinistra. Insomma, riprendendo le parole di Merlin, davvero un’interpretazione che può farsi opera di riferimento.