Facendo la spesa, soprattutto presso la grande distribuzione, siamo sommersi da marchi e certificazioni di qualità presenti in etichetta. Tra i più noti: DOC, DOCG, DOP, IGT, IGP, STG e via siglando. Esistono poi i marchi che attestano la provenienza da coltivazioni biologiche o biodinamiche. Dietro alle sigle ci stanno regolamenti Ue, leggi nazionali, enti certificatori, carte da compilare. Una montagna di burocrazia, probabilmente necessaria oggi, quando la distanza tra chi produce e chi consuma è così tanta che il tradizionale (e affidabile) rapporto di fiducia, basato sulla conoscenza e sull’appartenenza allo stesso territorio, è letteralmente impossibile. A proposito di distanza, mi domando ogni tanto che cosa significhino veramente le notissime indicazioni «filiera corta» e «chilometro zero». Prendiamo, ad esempio, il chilometro zero. Capisco anch’io che non tutto quello che sta sulla bancarella al mercato può essere stato prodotto non più in là di un km. Tuttavia se il campo del produttore sta, poniamo, a 10 (o a 20 o a 30) km è ancora lecito definire l’insalata a chilometro zero? Per non parlare della ancora più problematica filiera corta. Una indicazione che risulta abbastanza chiara se chi vende è il contadino (vendita diretta, spesso in azienda o nei mercati campagnoli). Ma se di mezzo ci sta un terzo attore, un grossista poniamo, che acquista e poi rivende a sua volta, la filiera è sufficientemente corta oppure si è allungata oltre un certo limite? E se i passaggi commerciali sono più di uno, quando è che la filiera diventa lunga? Non sto cercando il pelo nell’uovo: anche nel commercio ci sono molti squali che sfruttano abilmente a loro vantaggio slogan azzeccati. Da un anno è arrivata una legge (N. 61 dell’11 giugno 2022) che mette ordine in questa materia. La legge indica come prodotti a chilometro zero tutti quegli alimenti che sono stati ottenuti ad una distanza non superiore a 70 chilometri dal luogo di vendita o di consumo. Per quanto riguarda i prodotti a filiera corta, devono essere venduti o consumati passando al massimo attraverso un intermediario. Qualcuno potrebbe eccepire che definire a chilometro zero una insalata che viene da 68 km di distanza sia un’operazione ardita. Almeno dal punto di vista topografico. Ma tant’è…