Politica

Quante differenze tra il Pd e l’Ulivo

Qualcuno si è esercitato in una lettura benevola delle parole di Renzi sull’Ulivo prodiano, sostenendo che semmai la critica si appuntava su chi l’Ulivo l’avrebbe affossato: Bertinotti, D’Alema, Marini. Apprezzo […]

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 17 dicembre 2014

Qualcuno si è esercitato in una lettura benevola delle parole di Renzi sull’Ulivo prodiano, sostenendo che semmai la critica si appuntava su chi l’Ulivo l’avrebbe affossato: Bertinotti, D’Alema, Marini. Apprezzo le buone intenzioni, ma non amo l’ipocrisia.

Il senso di quelle parole era palesemente un giudizio liquidatorio sull’Ulivo che io, da vecchio, irriducibile prodiano, respingo. Renzi e i suoi hanno l’abitudine di parlare e di agire come se la storia cominciasse con loro, quasi che tutti interi gli ultimi venti anni fossero da iscrivere sotto la voce fallimento. Eppure basterebbe una memoria meno approssimativa e ingenerosa: senza l’Ulivo non vi sarebbe il Pd; grazie ad esso la democrazia bloccata italiana ha conosciuto finalmente l’alternanza e la sinistra, dopo mezzo secolo, è assurta a responsabilità di governo (scusate se è poco); l’Ulivo ha espresso uno dei migliori governi della storia della Repubblica, guidato da Prodi e nel quale figuravano personalità del calibro di Ciampi, Napolitano e Andreatta; esso fece risanamento, riforme (scuola, giustizia, sanità) e ingresso nell’euro. Traguardo cui pochi credevano. Non me ne voglia Renzi: egli ha aperto molti cantieri, ma ancora deve dimostrare di fare meglio sul piano dei risultati.

Neppure mi convince la tesi di chi sostiene che Renzi avrebbe realizzato ciò che l’Ulivo aveva promesso sul piano politico e programmatico.

In verità, a me, saltano semmai all’occhio le differenze. Ne accenno alcune, in forma telegrafica.

Primo: l’Ulivo mirava a stabilizzare e razionalizzare una sana democrazia competitiva, il bipolarismo non il bipartitismo. Oggi la pretesa accelerazione verso il biparitismo rischia di produrre il paradosso di affossare il bipolarismo, di fare del Pd il partito unico con vocazione/ambizione di governo cui si oppongono formazioni minoritarie di fatto disinteressate a competere per governare.

Secondo: l’asserita vocazione maggioritaria del Pd si spinge sino a farne un partito centrale e centrista “acchiappatutti”, una sorta di nuova Dc, non un partito di centrosinistra nel solco dell’Ulivo.

Terzo: l’Ulivo fu pensato come major party di una coalizione, come federatore di un più vasto campo di forze. Anche in omaggio alla tradizione di ricco pluralismo della politica italiana cui non si conviene la reductio ad unum. La sua attitudine inclusiva (ma mai totalizzante) operava sia verso il centro che verso sinistra. Non mi pare che sia il Pd renziano sia altrettanto inclusivo su entrambi i lati.

Quarto: lo slogan delle campagne elettorali dell’Ulivo “una forza che unisce” alludeva a una tensione dialogica anche verso la società e le sue organizzazioni. Non quasi la ricerca del conflitto con esse.

Quinto: nel quadro di un bipolarismo che si stabilizza, l’Ulivo si configurava come nitidamente alternativo – per valori e per programmi – non solo a Berlusconi ma al centrodestra, quand’anche il Cavaliere fosse uscito di scena. Non so se l’attuale Pd sia parimenti alternativo.

Sarei tentato di aggiungere un ulteriore elemento, ma lo faccio solo sommessamente a margine, per non incappare nell’estremo uguale e contrario a quello di chi ha liquidato il prodismo per celebrare il renzismo: al netto di una certa retorica circa la sintesi tra le culture politiche riformatrici che hanno plasmato la storia italiana, alla base dell’Ulivo stava effettivamente una elaborazione di cui oggi non trovo riscontro. Ci si poneva l’obiettivo di sanare due storiche fratture: quella tra laici e cattolici che affondava le sue radici nella “questione romana” e quella tra centro democratico e sinistra postcomunista. Un’ambizione alta.

Ecco perché reagisco a fronte di leggere e sbrigative liquidazioni.

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