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Quanta fretta a dichiarare fallita l’alleanza Pd-M5s

Quanta fretta a dichiarare fallita l’alleanza Pd-M5sFerruccio Sansa, candidato unitario in Liguria di Pd-5S-Sinistra

Sugli ostacoli che gravano sull'alleanza tra Pd e 5S occorrerebbe un lungo discorso che però non può partire dalla recente vicenda ligure dove, unica tra le regioni, è stato individuato un candidato unitario poi uscito sconfitto dal voto

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 30 settembre 2020

L’esito del tentativo di Ferruccio Sansa di togliere la presidenza della Liguria alla destra mettendosi alla testa di una coalizione tra Pd, Movimento 5S e Sinistra (Linea Coindivisa) è stato subito rubricato come un totale fallimento. Essendo questo l’unico caso in cui l’accordo tra le forze di governo si era effettivamente realizzato, l’insuccesso è stato indicato come prova provata che tale accordo è destinato a fallire. Si tratta di un’analisi affrettata e superficiale, subito fatta popria da esponenti recalcitranti del Pd che non hanno esitato a puntare il dito sull’errore compiuto scegliendo Sansa come candidato presidente.

Sugli ostacoli che gravano sull’alleanza tra Pd e 5S occorrerebbe un lungo discorso a parte che non c’è spazio per fare. Ma certo non va cercata qui l’origine della sconfitta. I motivi sono altri, molto specifici. In nessun caso imputabili a lui. Il primo è che la sua candidatura, presentata col sostegno di numerose forze vive dell’associazionismo e di personalità note a Genova, approvata dai vertici nazionali di Pd e 5S, è stata tenuta in sospeso per due mesi dai veti incrociati dei gruppi politici locali che dovevano promuoverla.

Risultato: la campagna elettorale di Sansa è durata praticamente un mese (agosto): troppo poco per far conoscere il programma di un outsider, convincente nel delineare una Liguria alternativa a quella del rivale Toti, e per dar forza al suo messaggio non affidato ai toni gridati e alle promesse inattuabili, ai capri espiatori e alle esibizioni plateali. Tutto questo in una regione nella quale la vecchia classe dirigente che ha governato per decenni è da tempo fortemente logorata e piuttosto screditata.

Il secondo è la forza dell’avversario. Toti ha saputo proporre un’immagine di concretezza e di efficienza, è riuscito a occultare i disastri combinati nella sanità pubblica già in corso di ridimensionamento e gli errori nella gestione del Covid, ha sfruttato propagandisticamente la ricostruzione del Ponte come se fosse opera sua e del sindaco Bucci o quasi, ha utilizzato l’appoggio della Lega senza mai indulgere ai toni salviniani e ha imposto il suo messaggio grazie a un controllo pressoché totalitario dei media televisivi locali, pubblici e privati ormai quasi interamente al suo servizio.

In queste condizioni, la vittoria di Sansa sarebbe stata un miracolo e il traguardo raggiunto, vicino al 40% va considerato molto significativo. Sansa ha avuto il merito di proporsi non come il mediatore tra due forze costrette a collaborare, ma come l’autore di una proposta programmatica e ideale che andava oltre le divisioni. Ha rimarcato fortemente la sua autonomia da entrambe ma ha indicato un terreno unitario. Gradito e ben conosciuto ai 5S anche in quanto collaboratore del Fatto Quotidiano, non ha esitato a criticare Grillo e di Maio e ha accolto le ragioni di chi ha scelto il no al referendum sul taglio dei parlamentari. La sua candidatura conteneva quel grado minimo di credibilità e di novità che manca da tempo agli ambienti della sinistra regionale e che i 5S hanno da tempo dilapidato.

Ora dobbiamo augurarci che il suo lavoro prosegua nella direzione avviata e che sia scongiurato il reflusso dei partiti e dei gruppi che lo hanno sostenuto nella coltivazione del proprio più o meno arido orticello. Se non capiamo che occorre costruire un orizzonte comune, articolare meglio un programma alternativo e cominciare a praticarlo con coerenza ricostruendo i legami col territorio, anziché dedicarsi a rimarcare a futura memoria (a futura elezione) i propri elementi distintivi, possiamo tranquillamente rassegnarci a sopportare Toti non solo per cinque anni ma per molto di più.

Toti non è un demagogo che gira coi rosari al collo, si mette la mascherina un giorno sì e uno no, sbraita un giorno sì e uno no contro l’Europa, catalizzatore di consensi fanatici ma esposto agli sbandamenti. Solo lavorando sui tempi lunghi con un progetto seriamente alternativo, attingendo a energie giovani già presenti e suscitandone altre, liberandosi dalle vecchie cariatidi in disarmo di un’epoca tramontata e accettando le sfide di un mondo globale che ogni giorno rivela le sue drammatiche complessità e reclama scelte nette, possiamo sperare di uscire dal tunnel del declino che appare ormai già troppo lungo.

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