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Quando Trifiodoro era a livello di Omero

Quando Trifiodoro era a livello di OmeroEdizione settecentesca del poema di Licòfrone di Calcide Alessandra, con le note di commento del bizantino Giovanni Tzetzes

Canoni letterari Nel 1768 David Ruhnken trasferì il termine «canone» dalla tradizione biblico-cristiana a quella letteraria, nel senso di «modello letterario di riferimento». Diversi canoni hanno segnato la storia delle letterature classiche: le fonti per ricostruirli sono i trattati di retorica e le liste compilate da letterati ed eruditi

Pubblicato circa un mese faEdizione del 25 agosto 2024

Leggendo di Omero o di epica greca si può talora incontrare il nome di Trifiodoro. Chi era costui? Se per saperne di più si consulta un manuale di letteratura greca, non si trova alcunché o solo qualche riga: vissuto tra III e IV secolo d. C., autore di un poemetto su La presa di Ilio edito di recente un paio di volte, studiato piuttosto di rado. Eppure, Trifiodoro nel secolo XIV a Bisanzio, in un importante trattato di retorica, era considerato un modello sommo di stile epico e messo sullo stesso piano di Omero! Trifiodoro, insomma, rientrava tra i canoni letterari, vale a dire tra gli autori-modello esemplari.

I canoni hanno segnato tutta la storia delle letterature classiche, greca e latina (e non solo). Le fonti per indagarli sono i trattati di retorica – per l’antichità in particolare quelli di Dionigi di Alicarnasso, Ermogene, Quintiliano, con valutazioni stilistiche di autori e opere –, alcune liste di autori di eccellenza compilate in diverse epoche, le scelte di lettura di letterati ed eruditi. A conferire al termine ‘canone’ il significato di modello letterario di riferimento era stato nel 1768 David Ruhnken riprendendone il concetto dalla tradizione cristiana e spostandone forzatamente il significato dall’autenticità e dall’autorità dei libri biblici agli autori della tradizione letteraria greca e in particolare al canone dei dieci oratori attici. Poiché Ruhnken riteneva che quest’ultimo risalisse all’attività filologica dell’Alessandria ellenistica, venne così a configurarsi un «canone alessandrino» che, pur discusso o negato, trovò alla fine dell’Ottocento uno dei suoi più convinti sostenitori nel grande filologo Hermann Usener. In ogni caso, non sembra dubbio che alla filologia alessandrina o comunque di età ellenistica si debba la formazione di canoni letterari, vale a dire di autori enkrithentes, «scelti» sul fondamento del prestigio a essi riconosciuto per la loro qualità ritenuta alta, in contrapposizione ad altri ekkrithentes, «esclusi».

Triade di giambografi
Tracciamo, almeno per sommi capi e limitatamente ad alcuni autori greci e latini «scelti», qual è stato il percorso dei canoni dall’età ellenistica fino alla tarda Bisanzio e al basso medioevo latino. Tra gli epici selezionati dagli alessandrini sono Omero ed Esiodo a resistere nei secoli, e il primo come modello imprescindibile. Agli alessandrini risale anche il canone di una triade di giambografi, tra i quali il migliore è ritenuto Archiloco, e quello di nove lirici, al cui vertice pare spiccasse Pindaro. Né poteva mancare Callimaco, considerato poeta-princeps ellenistico anche da Quintiliano. La triade di speciale eccellenza dei tragici, formata da Eschilo, Sofocle ed Euripide era di tradizione pre-alessandrina e la ritroviamo attraverso i secoli. Tuttavia Ermogene tralascia Eschilo, forse perché ne ritiene ‘duro’ lo stile, mentre nel tardo II secolo d. C, una lista di autori eccellenti mette sullo stesso piano dei tre tragediografi anche Ione di Chio e Acheo di Eretria, di cui restano solo frammenti.

Il canone della commedia antica riconosciuto da retori e grammatici comprende Aristofane, Cratino ed Eupoli, tra i quali solo il primo resiste nel tempo; e così pure Menandro per la commedia nuova, in origine accompagnato da altri poeti comici, poi caduti nell’oblio. Una lista di autori «che si distinsero», compilata tra i secoli VI-VII d. C, e di origine scolastica, conferma, oltre agli epici, anche Pindaro, Callimaco, la triade tragica, i due commediografi maggiori; vi aggiunge quindi Licofrone, Apollonio Rodio, Arato, Nicandro, Oppiano, Dionisio Periegeta.

I dieci autori attici da Pergamo al lessico «Suda»
Nel secolo XII a Bisanzio Giovanni Tzetzes per la poesia non si distacca molto dal complesso di questi canoni antichi, ma privilegia con i suoi commentari l’Iliade di Omero, Le opere e i giorni di Esiodo, le commedie di Aristofane, ma anche gli Alieutica di Oppiano. Infine, nel secolo XIV Trifiodoro, poco noto e poco diffuso fino a quel momento, sale allo stesso livello di Omero; e alla vigilia della caduta di Costantinopoli del 1453 un’ultima lista di poeti «scelti» comprende molti di quelli contenuti nelle liste precedenti, ma vi include anche Museo, autore dell’epillio, non certo di gran valore letterario, Ero e Leandro.

Passando agli autori di prosa, il canone retorico, formatosi forse in ambienti originari di Pergamo tra i secoli II-I a. C., si dimostra costituito dai cosiddetti «dieci oratori attici» e come tale si perpetua giungendo fino all’età bizantina, quando lo si incontra in Fozio e nel lessico Suda. Ma forse già dalla tarda antichità tal canone non era più operante e si era conservato solo come relitto di scuola, con l’eccezione di nomi quali Demostene, Isocrate e Lisia. In ogni caso nel secolo XI sono questi i soli nomi inclusi nel nuovo canone retorico di Michele Psello, che vi aggiunge Erodoto, Tucidide, Platone, Plutarco, Aristide, Dione di Prusa. Questo canone determina la definitiva scomparsa di quello dei dieci oratori attici e, integrato con qualche altro nome di eccellenza, tra cui Senofonte e i più recenti Temistio e Libanio, s’impone anche nei trattati di retorica fino al secolo XV. Si può infine osservare che Erodoto, Tucidide e Senofonte, che forse fin dall’età alessandrina costituivano il canone più stabile degli storici, a Bisanzio sono letti ormai come modelli di stile retorico e non più per i loro contenuti storiografici.

Tibullo miglior elegiaco
Quanto agli autori latini, la più dettagliata e argomentata selezione risale a Quintiliano, il quale integra un canone arcaico, che ritiene artisticamente superato, con uno più recente e augusteo, che egli approva senza riserve. Tra i poeti epici loda, più di ogni altro, il Virgilio dell’Eneide perché proximus a Omero; segnala Lucrezio come autore «da leggere» nonostante «difficile»; ritiene Tibullo il migliore degli elegiaci, seguito da Properzio e Ovidio, pur se di quest’ultimo esalta come capolavoro la tragedia Medea; vede in Lucilio e Persio gli autori satirici per eccellenza; recupera Catullo come poeta giambico; considera la commedia latina un genere «zoppicante», ma salva almeno Terenzio; pone al vertice Orazio, «il migliore di tutti», autore nel contempo di poesia giambica, satirica e lirica. Tra i prosatori, Quintiliano dichiara Cicerone degno di Demostene come oratore, e Sallustio e Livio degni, rispettivamente, di Tucidide ed Erodoto come storici.

Nell’alto medioevo a imporsi in Occidente è un canone formatosi nella scuola, dove i testi servivano soprattutto per imparare una lingua corretta o almeno accettabile, utile anche per lo studio della Bibbia e dei Padri, intento ultimo di un insegnamento ormai rinchiuso – a motivo delle istanze cristiane e della crisi dell’istruzione laica – nei monasteri e nelle cattedrali. Questo canone è composto dagli otto poeti Virgilio, Orazio, Ovidio, Lucano, Stazio, Persio, Giovenale, Terenzio, e dai due prosatori Cicerone e Sallustio, con variazioni attraverso i secoli per quanto concerne la valutazione di eccellenza di ciascuno. Di stabile riferimento si dimostra il solo Virgilio, mentre Orazio conosce un particolare slancio nel secolo XI, e Sallustio e Lucano emergono nettamente nel XII. Più tardi di quest’epoca la Scolastica emargina in qualche modo autori e testi letterari antichi; e l’Umanesimo, innestatosi su un nuovo pubblico laico colto e con le sue scoperte e riscoperte di autori classici, determina l’insorgere di nuovi canoni.

In conclusione, formatisi fin dall’antichità sul fondamento di istanze retorico-letterarie, alcuni dei canoni restarono stabili nel tempo, altri subirono variazioni sincroniche e diacroniche: sincroniche perché diverse furono le selezioni dovute a retori, esegeti, scuole, letterati, lettori colti in una stessa epoca; diacroniche per il mutare di quelle stesse selezioni nel corso del tempo.

*Guglielmo Cavallo, emerito della Sapienza – Università di Roma, è autore di numerosi saggi e contributi su manoscritti, cultura e tradizione dei testi dall’antichità classica al medioevo latino e bizantino.

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