Quando smontammo il piano sequenza
Intervista Roberto Perpignani racconta il lavoro in sala di montaggio per "Vizi privati, pubbliche virtù" e la sua amicizia con Miklos Jancso
Intervista Roberto Perpignani racconta il lavoro in sala di montaggio per "Vizi privati, pubbliche virtù" e la sua amicizia con Miklos Jancso
Uno dei più grandi montatori a livello internazionale, Roberto Perpignani che lo scorso novembre ha ricevuto a Monaco di Baviera la Cilect Teaching Award, il riconoscimento per l’insegnamento da parte delle scuole di cinema di tutto il mondo, ha firmato i film da Orson Welles, a Bertolucci, ai Taviani, ed ha lavorato anche con Miklos Jancso nel suo periodo «italiano». Il regista all’epoca era famoso per i suoi piani sequenza («rubati da Antonioni» diceva) che seguivano la pianura sconfinata su cui far fluire i conflitti della storia ungherese proiettati in un passato piuttosto metaforico, una sfida al cinema storico costruito sulla spinta delle nouvelles vagues. La sua trilogia I disperati di Sandor (1965), L’armata a cavallo (1967), Silenzio e grido (1968) ebbero un successo clamoroso. Poi, alla fine del decennio dei settanta arriva Vizi privati, pubbliche virtù a scompaginare il suo stile così consolidato, ci viene il dubbio che sia stato Roberto Perpignani a rivoluzionarne lo stile: «Vizi privati lo abbiamo fatto praticamente insieme. È stato lui che aveva deciso di «montarlo». Lui diceva tante cose, era un provocatore, era una persona a cui ci si affezionava anche per i suoi paradossi, una personalità dalla grande capacità comunicativa e affettiva. Siamo diventati grandi amici. Mi dice: «questo film lo voglio montare». Io lo raggiunsi a Zagabria dove stava girando e mi accorsi che stava girando tutto in piano sequenza, con bobine da 300. Gli feci notare che così montare sarebbe stato un po’ complicato. Non ti preoccupare, mi dice. Così arriva in moviola e ha detto una delle cose più divertenti che abbia sentito: «Bene, adesso montiamo alla Godard» che, detto da una persona intelligente come lui significava: montiamo alla Jancso. Così come abbiamo fatto.
Insieme abbiamo montato anche il Calderón di Pasolini realizzato da Ronconi al fabbricone di Terni. Miklos aveva concordato con Roberta Carlotto di fare una versione filmata, un progetto che lo appasionò tanto. Sul Calderón che ha filmato per la Rai io ho fatto anche l’aiuto regista. L’ho fatto due volte, la prima volta per Il Sospetto di Maselli. Ho fatto l’aiuto perché in cooperativa (l’Aata inventata da Gianni Toti) avevano il terrore che a un certo punto Miklos ci facesse sforare con un suo «e da lì scendono 300 cavalli». Era il Calderón di Pasolini messo in scena da Ronconi e rimesso in scena da Miklos Jancso con un movimento di macchina sptrepitoso, Nino Celeste direttore della fotografia. Miklos mi dice: procurami due grandi primi piani di Pasolini che guarda in macchina e li ha messi nella scenografia, dentro un palco illuminato come se Pasolini supervisionasse la messa in scena. Lo ha recupertato in vita. Pasolini morì mentre noi montavamo Vizi privati, quando morì c’era l’incontro pubblico a Campo de’ Fiori, gli dissi: andiamo, lui ci pensò un po’ e poi andammo e ci ritrovammo nella folla di Campo de’ Fiori.
Sembra che Jancso prima di conoscerlo lo trovasse troppo provocatorio per i film e le sue affermazioni
Erano molto categorici tutti e due, dietro ai loro modi di essere provocavano la realtà, loro stessi, i temi, i linguaggi.
Con Miklos c’era un rapporto di affetto, ci siamo incontrati recentemente a Palic in Serbia. La cosa buffa è che quando compì 80 anni non vedeva più per le cataratte, non distingueva le persone, ma in seguito a un’operazione riuscita ricominciò a vedere e a Palic vedeva nuovamente, mi arrivò alle spalle, fu lui a salutarmi. Era venuto con la moglie che era una montatrice. Quando era tornato definitivamente in Ungheria mi aveva detto che avrebbe chiamato sempre me per i suoi film, poi ha sposato una montatrice e ha montato lei i suoi film. A Palic, era dieci anni fa, lui aveva venti anni più di me, io ne avevo 65.
Come siete riusciti a montare piani sequenza? una specie di miracolo?
Non è un miracolo, era un gioco. I miracoli hanno un’aria molto sontuosa. Si trattava di tentare una cosa, trovare soluzioni che poi ti guidavano. Era molto disponibile, diceva due cose semplicissime: una era «Io so» e sparava tutto quello che sapeva. L’altra: «voi non potete sapere», non: voi non sapete, ma «non potete sapere». Solo con persone intelligenti ci si trova, quando ti trovi con un personaggio come Miklos e gli dici: senti mi è venuta un’idea, lui riposndeva: «dai andiamo».
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