Cultura

Quando si mostra la vulnerabilità del vivere e del morire

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NARRATIVA «Il lungo inverno di Ugo Singer», a proposito dell’ultimo libro di Elisa Ruotolo, pubblicato da Bompiani

Pubblicato più di un anno faEdizione del 13 maggio 2023

Ugo Singer è una tartaruga, ma non ha la sicura saggezza della protagonista della celebre favola di Esopo, che passo dopo passo – con impegno e perseveranza – batte a una gara di corsa l’improvvida e superba lepre avversaria. Piuttosto somiglia all’animale inquieto dei versi del Toti Scialoja, maestro di arte astratta e poeta del «senso perso»: «Questa sarta tartaruga/ fa modelli in cartasuga,/ sotto gli occhi ha qualche ruga/ con due foglie di lattuga/ se le bagna, se le asciuga,/ ma non sogna che la fuga». Non che Ugo Singer sappia usare ago e filo, o maneggiare cartamodelli. Lui, dentro la scatola di una vecchia macchina da cucire abbandonata, ci è solo nato. E ne porta il segno nel nome. E da lì sogna una vita diversa.
Al protagonista del nuovo libro di Elisa Ruotolo, Il lungo inverno di Ugo Singer (Bompiani, pp. 64, euro 16), infatti, non basta la cantina in cui sua madre Ester si è ritirata e lo ha messo al mondo: Ugo sogna l’aperto, la luce, l’incontro con l’altro.

A DIRLA TUTTA, di «altri», fra le mura umide della cantina, ce ne sono parecchi: un’intera nidiata. Si tratta della famiglia del piccolo Sam, il topolino lesto e curioso con cui Ugo stringe subito amicizia, in un relazione interspecie tanto singolare quanto indissolubile. Eppure Ugo e Sam mangiano, camminano, vivono in modi completamente diversi: niente prelibati pezzetti di formaggio per Ugo, che si alimenta solo di «porcherie» (così Sam definisce frutta e ortaggi); niente corse sfrenate in giro per la cantina (Sam vorrebbe eccome, ma Ugo è così lento e non fa che inciampare penosamente nel suo guscio); niente inverni trascorsi insieme, dal momento che le basse temperature costringono Ugo al letargo.
Il passo con cui i due amici percorrono l’esistenza è inevitabilmente discorde: mentre Sam entra ed esce dalla cantina, in un febbrile e inebriante ritmo di scoperta, Ugo langue nel carapace, avvilito dalla lentezza del suo passo. E mentre Ugo dorme nella stagione fredda, perché costretto dalle leggi di natura, Sam invecchia, incalzato da quella stessa biologia, che a lui ha dato in sorte un’esistenza infinitamente più breve.
Elisa Ruotolo, scrittrice e poeta campana che col suo secondo romanzo Quel luogo a me proibito (Feltrinelli, 2021) è stata finalista al Premio Rapallo e al Premio Bergamo, dà vita a una storia senza tempo, che pur iscrivendosi nel genere letterario della favola, ne ripensa e dilata i confini.

PER UNA SCELTA PRECISA dell’autrice e dell’editore, Il lungo inverno di Ugo Singer si rivolge infatti a un pubblico trasversale di adulti e ragazzi: se ai primi consente di tenere in esercizio la meraviglia – anche grazie alle illustrazioni, bellissime, di Chiara Palillo –, ai secondi dà l’opportunità di leggere al riparo da qualsiasi «morale della favola».
Questo perché l’epopea di Ugo Singer è etica, e non parenetica: non ammonisce, non esorta, non dimostra. Piuttosto, «mostra» la vita per quella che è, e che può diventare.
Se Ugo riuscirà a realizzare il proprio sogno di fuga dallo scantinato sarà grazie alla collaborazione fra «dissimili»: Sam e la sua brulicante famiglia, e la placida gatta Blanca (che fa finta di inseguire i topi per difendere la propria reputazione felina, ma in realtà li trova simpatici).

EPPURE LA VITA FUORI, per la piccola tartaruga di terra, non sarà semplice: l’inquietudine e la frustrazione per la propria natura non svaniranno, tutt’altro. «Quando provò a muoversi con la rapidità del mondo che osservava per la prima volta, capì nuovamente di non esserne capace. Anzi, la percezione di lentezza avuta stando in cantina, adesso – sotto la luce del sole che mai aveva visto – appariva più nitida. Più difficile da ignorare».
Ugo patisce, si sforza, fatica dietro «l’andatura veloce dei cani, il volo spedito degli uccelli o degli insetti, la falcata degli uomini e delle donne», eppure la sua fame non si placa.
Il momento del desiderio più grande – e più rischioso – si approssima. Ugo non ha nessuna intenzione di tornare al riparo, perché vuole conoscere ciò che mai ha potuto attraversare a occhi aperti: l’inverno. Sentire il vento e la pioggia tra le scaglie della pelle, ascoltarne «il fischio e il ticchettio contro il legno degli alberi e tra le foglie». Gli ostacoli all’impresa non mancheranno, gli esiti saranno alquanto imprevisti.
Quel che è certo è che all’epigrafe con cui Elisa Ruotolo sceglie di aprire il libro, tratta da un racconto di Kafka, «Che cosa sto facendo, qui, in questo inverno senza fine?» (Un medico di campagna, 1918), a fine lettura si è tentati di rispondere con parole diverse, quelle di un saggio di Camus: «Imparavo finalmente, nel cuore dell’inverno, che in me c’era un’estate invincibile» (Ritorno a Tipasa, 1952). Ugo, campione di vulnerabilità, lo impara con i suoi tempi. A noi non lo insegna: ce ne rende partecipi.

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