Cultura

Quando l’arte si fa selvatica

Quando l’arte si fa selvaticaIl bosco delle neofite al suo esordio

Attraversamenti Finanziato dalle opere donate, nasce il «Bosco delle neofite» in uno svincolo stradale a Prato. Centocinquanta alberi, quattrocenti arbusti di specie non autoctone per combattere il cambiamento climatico. Da un'idea di Mario Cristiani, dell'associazione non profit Arte Continua, con la collaborazione di Stefano Mancuso, delle amministrazioni locali

Pubblicato 6 mesi faEdizione del 1 giugno 2024

Il ginkgo biloba è un albero con centinaia milioni di anni sulle spalle, è un fossile vivente che viaggia nel tempo e nello spazio. Per Stefano Mancuso, botanico, docente all’università di Firenze, direttore dell’International laboratory of plant neurobiology, è la presenza verde più interessante (e da lui profondamente voluta) sbarcata a Prato, in un crocevia di periferia, abbandonato e assediato da macchine di passaggio. Il gingko biloba ha le sue radici in Cina e ben rispecchia anche la composita realtà sociale della città, che oltretutto vanta la più grande comunità cinese di Europa.

È IN QUELLO SVINCOLO stradale anonimo, in 7.500 mq che si snodano intorno alle case popolari di Tobbiana Allende (Prato) che è stato inaugurato Il bosco delle neofite: lo spazio vegetale interrompe la desolazione brulla che affligge il «non luogo». È una selva di piante non autoctone in crescita – centocinquanta alberi, quattrocento arbusti che entro un anno saranno rigogliosi – nata dal progetto visionario Le città del futuro. Arte per la riforestazione di Mario Cristiani, presidente dell’associazione non profit Arte Continua (lui è anche la figura di riferimento della galleria omonima di san Gimignano, che invece opera nel contemporaneo con mostre e attività commerciali), in sinergia con le amministrazioni locali, dimostratesi lungimiranti, e con il piano di Forestazione urbana di cui il comune di Prato si è dotato dal 2018.
Diciassette artisti hanno offerto le loro opere per finanziare il bosco (fra questi, Massimo Bartolini, Carsten Höller, Loris Cecchin, Tobias Rehberger, Pascale Marthine Tayou, Mimmo Paladino, Sislej Xhafa, Antony Gormley, Labinac, Kiki Smith).

UNA VOLTA raccolti i fondi con le vendite delle donazioni, l’Associazione Arte Continua ha invitato Stefano Mancuso e il Pnat (società fondata da un gruppo di scienziati vegetali, ingegneri e architetti) a immaginare la realizzazione fisica dell’area verde, una messa a dimora di specie botaniche un tempo considerate aliene. Piante a bassa manutenzione, rigorosamente non autoctone, scelte appositamente perché con il cambiamento climatico bisognerà adattarsi in fretta a nuovi scenari e diversificare il più possibile l’habitat, creando «campi di resistenza». E anche per rappresentare il puzzle multietnico di Prato.
«Ci interessava che l’arte entrasse nella vita, facesse parte della normale dell’esistenza delle persone, coniugandosi con una storia tutta italiana di cui ci sentiamo i continuatori – afferma Cristiani – . Questo bosco è un primo pezzo delle Città del futuro: testimonia e racconta una fragilità del patrimonio pubblico che necessita di essere rispettato».

È UN CAMBIO di passo culturale. Di fatto, le nostre città sono luoghi deprivati della natura, prigioni di cemento che emanano depressione e non fanno che esaltare il disastro climatico cui stiamo andando incontro, alzando le temperature. Lo spiega bene Stefano Mancuso nel suo ultimo libro di recente pubblicazione (Fitopolis, la città vivente edito da Laterza) e lo ricorda anche nel Bosco delle neofite, davanti all’ulivo centenario innestato con quei germogli provenienti dal «Borgo Laudato si’» di Castel Gandolfo, laboratorio di ecologia integrale voluto dal pontefice.
«Una cosa che tendiamo a dimenticare – spiega lo scienziato – è che il 74 per cento della popolazione italiana è urbanizzata, mentre solo cinquant’anni fa la percentuale era inferiore al 30 per cento: una rivoluzione a cui non stiamo dando il giusto peso. Si fa una passeggiata nel parco per godere della natura come si va in un museo per vedere l’arte. Questo significa che non fanno parte del nostro ambiente. Dovremmo invece vivere in posti in cui arte e natura riescano a nutrire ogni nostro momento. Questo bosco ha una sua funzione sociale e pure sanitaria. Nel luglio del 2022, solo in Italia, secondo i dati (attendibili) pubblicati su Nature sono morte circa 65mila persone di caldo; in Europa, 450mila. Per il Covid abbiamo rivoluzionato il mondo e per il caldo non facciamo nulla. La cosa più saggia che un’amministrazione possa fare è coprire di verde le proprie città. Non perché gli alberi facciano ombra, ma perché quella pianta traspira, abbassa la temperatura anche di sei gradi, agisce come l’aria condizionata». Negli ultimi trecento anni, infatti, ci siamo distaccati completamente dalla natura.

«IL PROBLEMA fondamentale è la nostra tracotanza, la hybris. Fino a quando nasceremo, mangeremo, respireremo e moriremo, saremo parti della natura, che viene dal latino natus. Se sei nato, fai parte di essa. A livello globale, siamo andati tutti ad abitare in città, però le abbiamo costruite sulla base di un concetto teorico folle. Basti osservare i magnifici quadri rinascimentali che raffigurano città ideali. Non c’è letteralmente un filo d’erba, solo architetture. Eppure, la città ha una forza straordinaria, legata al fatto che viviamo insieme, ma non è detto che dobbiamo farlo nel cemento. Possiamo tranquillamente vivere insieme nella natura, che da sola si rigenera e muta, avvicendando le sue specie selvatiche. Immaginiamo i giardini come luoghi statici, invece all’interno di ogni spazio verde tutto è molto dinamico».
In grado di ospitare le varietà della vita senza che l’essere umano intervenga, come ci insegna anche Gilles Clément.

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