Cultura

Quando la Storia diventa un magazzino di anacronismi

Quando la Storia diventa un magazzino di anacronismi«Galileo pronuncia l’abiura delle idee di Copernico», Robert Fleury (1847) Museo del Louvre

Il caso La gaffe del Ministro Sangiuliano su Colombo e Galilei non è grave cronologicamente. Ma rivela un’attitudine. Non può sfuggire l’ironia di un certo sovranismo storiografico nostrano

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 26 giugno 2024

Che il ministro della cultura italiano dichiari che Cristoforo Colombo sia stato influenzato dalle idee di Galileo potrebbe essere derubricata a gaffe di poco conto. Capita a tutti di confondersi su qualche data. Eppure, è una gaffe che merita qualche attenzione, perché rivela un’attitudine, un modo di pensare la storia.

Poco interessante è l’errore cronologico: Colombo si imbatte nel continente americano nel 1492, mentre Galileo nasce nel 1564. Consideriamolo un errore veniale. Molto più grave è la mancanza di senso storico che questo errore rivela, ossia la mancata coscienza che il mondo in cui vive Colombo crea le condizioni per – ma è anche molto diverso da – quello in cui vivrà Galileo.

IL MONDO DI COLOMBO è quello di Leonardo: il Rinascimento e il tramonto delle sfarzose signorie del Quattrocento italiano, sullo sfondo della graduale marginalizzazione economica del Mediterraneo. Il mondo di Galileo è quello dell’Europa barocca e assolutista, e di una chiesa che ha perduto la sua unità. Guerre di inaudita violenza dilaniano il continente, mentre si consolidano gli imperi coloniali e la loro capacità estrattiva. Confondere questi momenti significa non avere alcun senso della storia italiana e globale, e quindi dei processi di lungo periodo che hanno costituito il mondo in cui viviamo.

Ma quali sarebbero poi le teorie di Galileo che avrebbero potuto ispirare Colombo? Come notato da molti, è chiaro che qui il ministro si stia riferendo al fatto che Galileo avrebbe sostenuto che la terra è sferica, e quindi circumnavigabile. Non a caso, nella sua dichiarazione, fa riferimento ad un confronto tra Colombo e l’«Inquisizione spagnola» che, accecata dall’oscurantismo, avrebbe cercato di fermarlo.

ORA, LA CIRCONFERENZA terreste viene misurata con sorprendente precisione da Erastotene nel terzo secolo a.c. Almeno da allora, il fatto che la terra sia una sfera o uno sferoide fa parte del bagaglio culturale delle elites cristiane, ebraiche e islamiche che si ispirano ai canoni della tradizione classica. Colombo, qualche anno prima del suo viaggio, non incontra membri dell’Inquisizione spagnola, ma un comitato di esperti riunito dal re Ferdinando II d’Aragona a Salamanca, alma mater delle università iberiche, per giudicare la fattibilità del suo progetto. Si tratta per lo più di professori universitari, che sono spesso membri di ordini monastici, e di importanti ecclesiastici.

Colombo non deve convincerli che la terra sia rotonda, ma che sia possibile raggiungere le Indie in tempi relativamente brevi, e aprire una rotta commerciale più conveniente di quelle già esistenti.
Gli esperti sono dubbiosi, e hanno ragione: Colombo sta sottostimando di molto le dimensioni della terra, in base ad una sua personale reinterpretazione di certi testi di geografia. Se non si fosse imbattuto nei Caraibi, la sua missione sarebbe finita in un costoso fallimento.

IL MITO DI UN COLOMBO proto-illuminista che si scontra con un’ottusa Inquisizione terrapiattista non è un’invenzione recente, ma si consolida nella storiografia angloamericana ottocentesca. È un’invenzione positivista che mira a discreditare la chiesa cattolica e ridimensionare il ruolo dei paesi cattolici nella Rivoluzione Scientifica, affermando invece il primato di Inghilterra e Stati Uniti. Non può sfuggire l’ironia di un sovranismo storiografico nostrano che insegue inconsapevolmente un modello anglosassone e anticattolico.

Ma, lasciando perdere le sottigliezze storiografiche, dichiarazioni come quelle qui commentate rivelano una visione della storia non come ricostruzione dei processi sociali che hanno prodotto la realtà in cui ci muoviamo, ma come magazzino di immaginette, aneddoti, bandierine da sventolare. Sono materiali fuori contesto, il cui carattere mitologico e kitsch è stato ben descritto da Furio Jesi nei suoi studi ormai classici sulla cultura di destra. In questa prospettiva l’anacronismo non è un problema, tanto meno l’errore interpretativo: quello che conta sono i «valori» veicolati da un linguaggio fatto di slogan e semplificazione: in questo caso, l’italianità, il genio italico, il fatto che la modernità, qualunque cosa sia, l’abbiamo fatta tutta in casa da noi.

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