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Quando la pistola per la prima volta in un romanzo di Moravia non sparò a vuoto

Quando la pistola per la prima volta in un romanzo di Moravia non sparò a vuotoMoravia nello studio di casa sua, foto di Gianni Bozzacchi

Il trentennale della morte di Alberto Moravia Il revolver della "Vita interiore" non fece cilecca come gli altri: eravamo negli anni di piombo. Esce il quinto volume delle opere, "Romanzi e racconti 1970-1979", a cura di Simone Casini, con una bibliografia ricca di grandi «lettori»...

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 27 settembre 2020

Nella mattinata del 26 settembre 1990 la notizia arriva – come aveva detto lui stesso tre anni prima, in occasione dell’ottantesimo compleanno – come una «bomba». Moravia è morto nel suo appartamento in Lungotevere della Vittoria, 1 (oggi «Casa Moravia»). Scrittore di leggendaria regolarità, ha appena licenziato Vita di Moravia, l’autobiografia in forma di intervista (con Alain Elkann) la cui prima edizione reca come finito di stampare lo stesso mese di settembre. Tra le sue carte, una copia del romanzo che uscirà postumo a cura di Enzo Siciliano, La donna leopardo: l’ultimo Moravia stenta ancora a trovare lettori adeguati, ed è pieno di più sorprese di quanto non siano disposti a immaginare o ammettere i suoi detrattori, schiera sempre folta fin dall’alba dell’opera, l’apparizione de Gli indifferenti, quella «nebbia di parole», come disse qualcuno, che il tempo avrebbe messo al posto giusto.

Indeciso tra romanzo e teatro
I libri di Moravia sono misteriosi e bui per quanto tutto vi sembri essere in piena luce: bisogna scostare quella luce, la lampada che manda una rasoiata accecante al proscenio, per vedere di che cosa siano fatti. La riprova è che anche i personaggi del suo primo romanzo sono in scena circondati dai riflettori – il residuo della lotta di Moravia a decidere tra romanzo e teatro: alla fine fu romanzo, ma il teatro persiste – però agiscono in un altro luogo, diverso anche dall’interiorità. Occorre perciò distogliere lo sguardo dal fascio della luce (alla fine dei suoi giorni Moravia operò, se così si può dire, con lampade scialitiche, recidendo fino al punto estremo le ombre: tutto sembrava in piena luce, ma nulla lo era). Per questo, per questa complessità nascosta da una luce piena, per un’intelligenza intransigente nel respingere le seduzioni troppo accattivanti, per la sua stessa spigolosità, la schiera degli ammiratori è ugualmente – e forse più – folta. Basta scorrere la schiera dei grandi lettori che Moravia ha avuto per averne contezza. La schiera, almeno in parte (e con l’avviso dei grandi lettori in attesa di medesima schedatura) è adesso disponibile. Qualche nome: Baldacci, Bo, Borgese, Cecchi, Chiaromonte, Debenedetti, Del Buono, Gadda, Montale, Pampaloni, Pancrazi, Parise, Pasolini… La si trova nell’eccellente bibliografia messa a punto da Simone Casini, alla cui cura si deve il quinto volume delle Opere. Romanzi e racconti 1970-1979 («Classici» Bompiani, pp. CLVI-1475, € 50,00), penultimo della sezione dedicata all’opera narrativa (tutte le sezioni promettono di arrivare a un totale di diciannove volumi).
Se è consentito un richiamo insieme critico e generazionale, è in questi Romanzi e racconti 1970-1979 che coloro che oggi stanno intorno ai sessanta anni di età ritrovano il primo romanzo di Moravia letto non appena uscito dalla tipografia, La vita interiore, 1978. Incontrare Moravia come contemporaneo fu diverso dal leggerlo nella sua parte già consegnata al cosiddetto canone. C’era in quel libro una pistola che, per la prima volta in Moravia, non faceva cilecca né tirava a vuoto (era successo negli Indifferenti, a segnare un conato di rivolta fallita). Le pistole, si sa, da Puškin a Cechov, in letteratura danno un’inquietudine diversa da quando si fanno protagoniste in cronaca nera: sono insieme realtà e simbolo. Nella Vita interiore la pistola spara, e attesta che siamo negli anni di piombo (chi non ricorda la foto simbolo di quel giovanotto che, lievemente piegato sulle gambe, prende la mira a due mani verso un punto lontano della strada?).
Per il romanzo precedente, qui anche compreso, Io e lui (1971), quella medesima generazione non era ancora pronta per anagrafe. Tra i due romanzi ci furono due raccolte di racconti, e solo da dopo si poté ricostruire una curiosa forma di ironia perché, ridotti all’osso, potevano anche leggersi come un dittico nel quale le due parti contrapposte erano prima «io e lui» e poi «io e lei». Il discorso sul sesso arrivava in Moravia al punto più radicale, perché il sesso (e Freud) era la chiave che completava l’altra chiave di accesso al mondo, il denaro (e Marx). Il sesso, presente in modo germinale ma decisivo negli Indifferenti, avrà epilogo simbolico in una pagina della Donna leopardo, con il seme umano disperso nell’acqua («la carezza di Nora agì; lui sentì che eiaculava con dolcezza agevole e naturale come se avesse fatto l’amore non con Nora ma con una creatura marina fatta di acqua profonda e mobile. Poi si separarono e Lorenzo guardò in basso: il serpentello dello sperma ondeggiava sott’acqua allungandosi e disfacendosi. Nora disse: “Guarda, sei tu,” e immerse la mano come a ghermire il diafano filamento. Lorenzo ancora turbato disse, a voce bassa: “Sì, ero io”». Si sommi questo a quanto Moravia aveva detto sulla «scoperta della conversione della materia in energia (…). Io non esisto, sono qualcosa che si muove con una certa quantità di energia»).

I racconti intorno a «Gli indifferenti»
Nella Donna leopardo il personaggio di Colli muore per acqua, come se lì fosse andata a finire tutta la pioggia degli Indifferenti. Così l’ultimo Moravia si tende sulla sua prima stagione, smentendo ancora una volta chi aveva detto, già prima di Agostino: «quello è l’autore degli Indifferenti, non scriverà mai più altri libri». Vale la pena, dunque, di tornare anche ai racconti scritti intorno agli Indifferenti, offerti in nuova edizione, I racconti 1927-1951 («Classici contemporanei» Bompiani, pp. 628, € 18,00). Offerti purtroppo nudi e crudi, senza una nota che li metta nel loro contesto e nei loro rapporti, fatte salve due foto: la copertina della prima edizione e la vittoria di Moravia allo Strega. Però dentro ci sono capolavori quasi dimenticati: da Cortigiana stanca, Delitto al circolo del tennis, Inverno di malato a tanti altri che li seguono.
Per tornare al penultimo Moravia, ovvero al volume delle Opere, occorre dire ancora qualcosa dei suoi meriti, sottolineando la ricchezza degli apparati: in apertura, un’intervista del curatore a Dacia Maraini, per un ampio passaggio incentrata sui racconti «al femminile», di Il paradiso, Un’altra vita e Boh, in genere considerati piuttosto seriali (come anche furono considerati i Racconti romani) per il solo fatto di essere stati concepiti a misura dello spazio che man mano occupavano sul Corriere della Sera. E che invece portano a nuove conseguenze l’arte dello scrivere breve tanto cara a Moravia (anche negli articoli della seconda metà degli anni ottanta raccolti nel Diario europeo, che è un diario non solo politico ma civile e letterario). Quello scrivere breve era anche un modo fulmineo di osservare, pensare, concludere. Dell’ampia introduzione di Casini, si vuole condividere un’osservazione: «Io e lui non è affatto estraneo all’asse maggiore della ricerca moraviana, ma è un suo rovesciamento sistematico, furiosamente condotto per via di caricatura e di eccesso», per radicalizzare «le premesse senza curarsi di rispetti e convenienze». La cronologia, riveduta e aggiornata, è ora una compiuta biografia; ma va sottolineata soprattutto la funzionale concezione della bibliografia, cento pagine ottimamente ragionate e organizzate sull’intera opera dello scrittore: la maniera giusta per celebrarne il trentennale.

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