Cultura

Quando la passione è il fiore e il coraggio il suo frutto

Quando la passione è il fiore e il coraggio il suo frutto

Libri «Matteotti dieci vite» è il nuovo libro di Vittorio Zincone sulla vita del deputato socialista, edito da Neri Pozza

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 29 agosto 2024

Leggendo della vita di Giacomo Matteotti si apprende come l’audacia possa avere due origini differenti. Una, quella delle squadracce fasciste, delle camicie nere, di un certo patriottismo baldanzoso, è l’audacia dell’imposizione di sé – il «noi» del nazionalismo fascista. È godere della forza cieca della folla, del braccio che stritola, del bastone che picchia, dell’altro che soccombe. Un altro tipo di audacia, diametralmente opposta, è l’audacia della passione e, ancor più, della cura. Un’audacia diversa e più vera, dalla mano tremante che pure mira a difendere: l’audacia del custode, della madre, dell’amante, di chi non è privo di dubbi. Il primo tipo di audacia, che è in realtà solamente spavalderia, è ciò che ha ucciso Giacomo Matteotti. Il secondo, che è invece la sostanza del vero coraggio, è ciò che di Giacomo Matteotti soprattutto si deve ricordare.

UNA TALE CURA verso ciò a cui si tiene, che sia la povera gente del Polesine o la persona amata, emerge in maniera lampante dal libro di Vittorio Zincone Matteotti dieci vite (pp. 318, euro 20), edito da Neri pozza nel centenario dell’assassinio del deputato del Partito Socialista Unitario. Affiora nella vita di un uomo che, nonostante i successi politici, la vivissima intelligenza, la grande cultura, sapeva scrivere alla donna di cui era innamorato: «Ho paura, ho tanta paura, Velia cara! Di non saperle voler bene, di non saperla amare». «Ma lei è un ragazzo!» rispondeva Velia, forse sorpresa e divertita di fronte all’eccessiva sensibilità di quell’uomo di quasi trent’anni, di cinque anni più grande di lei.

Insieme a questo lascito prezioso, Zincone restituisce nel suo libro tutta la portata della vita di Matteotti, troppo spesso appiattita a quel dieci giugno 1924 in cui venne ucciso. Al contrario, la vicenda esistenziale di Matteotti è la storia di un uomo irrequieto, che soffriva l’impossibilità di portare a termine tutti i suoi obiettivi e si doleva della distanza dalla famiglia. Un uomo che, sempre all’amata moglie Velia, non mancava di dire che per conciliare la bruciante passione sociale, l’amore per lei e lo studio avrebbe voluto avere «dieci vite; e una ne darei anche all’ozio, al sogno. Invece ho una vita sola – e non ho neppure la tua per raddoppiarla, anzi, forse ti ho ceduto io una parte della mia».

IN UN CERTO SENSO, parte della sua vita Matteotti riuscì a dedicarla al sogno. Il sogno socialista di un mondo più giusto, inseguito fin da giovanissimo. Lui, che era il figlio privilegiato di proprietari terrieri e per questo veniva spesso tacciato di ipocrisia, si mise fin da subito dalla parte dei braccianti, troppo spesso prevaricati dai padroni. Dalla provincia di Rovigo cominciò la sua carriera politica, culminata in parlamento negli anni subito successivi alla Grande Guerra. Grande Guerra alla quale Matteotti si oppose strenuamente fino a ottenersi l’esilio in Sicilia, già in quegli anni opponendosi per la prima volta alle idee di un altro socialista, Benito Mussolini.

Zincone intesse il suo libro, a metà fra il saggio storico e la non-fiction, attingendo direttamente dagli scritti di Matteotti. Le parole del deputato rodigino si avvicendano egregiamente a una narrazione efficace. Il risultato è la restituzione di un personaggio a tutto tondo, visto anche nelle sue pieghe nascoste: Matteotti è l’ardito deputato del Regno, ma anche il giovane che temeva di perdere i capelli, il padre affettuoso, l’amico fedele. Il resto della storia già si conosceva: un discorso in parlamento ostruito dalle urla dei fascisti, una funesta passeggiata sul lungo Tevere un pomeriggio di giugno, un’auto che si ferma di colpo e rapisce un uomo, un Paese sull’orlo di un abisso nero.

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