Se scrivi un libro e lo intitoli Senza madre, tutti pensano che parli soprattutto di madri. E nel caso del coinvolgente volume in libreria con le firme di dieci giornaliste, di madri si parla moltissimo. Madri non credute, umiliate, trattate da pazze. Punite e messe in ginocchio.

MA SE RIFLETTETE SUL SOGGETTO di quella esclusione (parola molto di moda) vi rendete subito conto che il focus è anche sui figli. «Storie di figli sottratti dallo Stato», recita infatti il sottotitolo: figli sottratti all’abbraccio di chi li ha generati e se ne è preso cura dal primo vagito, si può aggiungere. Perché nel fenomeno conosciuto come «violenza istituzionale contro le donne» o «vittimizzazione secondaria», a fare le spese di un sistema che negli ultimi anni si è incistato dentro la macchina giudiziaria, sono loro i primi. I minori.
Scrive nella prefazione di Senza madre (edizioni Magi, autrici varie, pp. 168, euro 16) Francesca Ceroni, magistrata della procura generale di Cassazione: «Il principio della bigenitorialità, icona del nostro tempo, è una formula magica di fronte alla quale tutto il resto arretra, che fagocita la libertà personale del minore, il suo diritto di autodeterminazione, il suo diritto fondamentale e quello della madre alla vita privata e familiare».
È su questo binomio che vengono offerti sorprendenti angoli di osservazione. Se una madre decide di andare allo scoperto e denunciare violenza, maltrattamenti o abusi, il percorso che si apre porta dritto all’accusa contro di lei della fanta-sindrome di alienazione, con il risultato di rendere «invisibili» i minori coinvolti, come efficacemente raccontano le storie raccolte da Silvia Mari. I minori non hanno voce in capitolo perché vengono considerati plagiati, quindi incapaci di autodeterminarsi. E questi bambini spesso sono sottratti del tutto alla relazione con la madre, spiega Paola Tavella, «rinchiusi in Case-famiglia per un tempo indefinito, allo scopo di ’essere riprogrammati’ ad amare padri da cui sono terrorizzati». Resettati.

LE TAPPE SUCCESSIVE di questo cammino sono inquietanti. Provate ad esempio a immaginarvi al di sotto dei 10 anni, con una squadra di poliziotti che vi sfondi la porta, vi agguanti mani e piedi, vi trascini via, vi trasferisca in un posto sconosciuto dove sarete, anche, sedati perché urlate e vi sbattete: che cosa ne deducete? Che siete vittime di una detenzione senza alcuna motivazione legittima. Perché voi non avete alcuna colpa.

È QUEL CHE SUCCEDE ai minori prelevati con la forza durante il percorso che parte da una violenza denunciata, derubricata in conflitto tra genitori, tradotta in alienazione, a cui segue l’allontanamento coatto del minore. Lo descrive e lo analizza alla perfezione il capitolo di Assunta Morresi. Né si può considerare diversamente da un intervento di prepotenza statale l’obbligo di Casa-famiglia per adolescenti che esprimono le loro preferenze in modo chiaro e netto, racconta Clelia Delponte, ma siccome scelgono la madre non sono ascoltati.
Dove sono finiti i diritti del minore, quando viene sottoposto a un Tso mascherato e soprattutto privo di legittimazione specifica? È la prova, dice Morresi, che non è il minore a interessare la filiera istituzionale in cui lo psico-investigatore, alias Ctu psicologico, fa la parte del leone. Anche per conto di altri, come il giudice. È nel momento in cui viene trasferito in Casa-famiglia quasi sempre su richiesta del padre, aggiunge Flavia Landolfi che il minore subisce «una privazione della libertà personale». Vi piace un paese così?
Vi piace un paese in cui, a un bimbo la cui madre denuncia abusi su di lui, viene risposto con un trattamento a volte farmacologico perché si convinca che per il suo bene deve eliminare quella madre dalla sua realtà, dalle sue relazioni, dai suoi sogni, e che gli abusi sono soltanto sue invenzioni? Se non ci credete, basterà il capitolo di Emanuela Valente a togliervi i dubbi.

PER CONCLUDERE, torniamo alle parole di Tavella: «La lotta delle madri private dei figli sulla base di una perizia di parte è un’autentica lotta femminista come non ne vedevamo da molti anni. Popolare, trasversale alle classi sociali e agli schieramenti politici, autorganizzata, estremamente radicale, basata su una condizione reale, su un’oppressione concreta e su una questione di vita o di morte».
Il libro è frutto del lavoro di dieci autrici: Clelia Delponte, Franca Giansoldati, Flavia Landolfi, Silvia Mari, Assunta Morresi, Monica Ricci Sargentini, Nadia Somma, Paola Tavella, Emanuela Valente e Livia Zancaner (prefazione di Francesca Ceroni, postfazione di Monica Lanfranco).