Cultura

Quando la libertà dei minori diventa un principio invisibile

Quando la libertà dei minori diventa un principio invisibileAung Myint, «Mother and Child» 2018

Scaffale Il libro «Senza madre. Storie di figli sottratti dallo Stato» (edizioni Magi), scritto da dieci autrici, con la prefazione di Francesca Ceroni, magistrata della procura generale di Cassazione e la postfazione della giornalista Monica Lanfranco

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 7 dicembre 2022

Se scrivi un libro e lo intitoli Senza madre, tutti pensano che parli soprattutto di madri. E nel caso del coinvolgente volume in libreria con le firme di dieci giornaliste, di madri si parla moltissimo. Madri non credute, umiliate, trattate da pazze. Punite e messe in ginocchio.

MA SE RIFLETTETE SUL SOGGETTO di quella esclusione (parola molto di moda) vi rendete subito conto che il focus è anche sui figli. «Storie di figli sottratti dallo Stato», recita infatti il sottotitolo: figli sottratti all’abbraccio di chi li ha generati e se ne è preso cura dal primo vagito, si può aggiungere. Perché nel fenomeno conosciuto come «violenza istituzionale contro le donne» o «vittimizzazione secondaria», a fare le spese di un sistema che negli ultimi anni si è incistato dentro la macchina giudiziaria, sono loro i primi. I minori.
Scrive nella prefazione di Senza madre (edizioni Magi, autrici varie, pp. 168, euro 16) Francesca Ceroni, magistrata della procura generale di Cassazione: «Il principio della bigenitorialità, icona del nostro tempo, è una formula magica di fronte alla quale tutto il resto arretra, che fagocita la libertà personale del minore, il suo diritto di autodeterminazione, il suo diritto fondamentale e quello della madre alla vita privata e familiare».
È su questo binomio che vengono offerti sorprendenti angoli di osservazione. Se una madre decide di andare allo scoperto e denunciare violenza, maltrattamenti o abusi, il percorso che si apre porta dritto all’accusa contro di lei della fanta-sindrome di alienazione, con il risultato di rendere «invisibili» i minori coinvolti, come efficacemente raccontano le storie raccolte da Silvia Mari. I minori non hanno voce in capitolo perché vengono considerati plagiati, quindi incapaci di autodeterminarsi. E questi bambini spesso sono sottratti del tutto alla relazione con la madre, spiega Paola Tavella, «rinchiusi in Case-famiglia per un tempo indefinito, allo scopo di ’essere riprogrammati’ ad amare padri da cui sono terrorizzati». Resettati.

LE TAPPE SUCCESSIVE di questo cammino sono inquietanti. Provate ad esempio a immaginarvi al di sotto dei 10 anni, con una squadra di poliziotti che vi sfondi la porta, vi agguanti mani e piedi, vi trascini via, vi trasferisca in un posto sconosciuto dove sarete, anche, sedati perché urlate e vi sbattete: che cosa ne deducete? Che siete vittime di una detenzione senza alcuna motivazione legittima. Perché voi non avete alcuna colpa.

È QUEL CHE SUCCEDE ai minori prelevati con la forza durante il percorso che parte da una violenza denunciata, derubricata in conflitto tra genitori, tradotta in alienazione, a cui segue l’allontanamento coatto del minore. Lo descrive e lo analizza alla perfezione il capitolo di Assunta Morresi. Né si può considerare diversamente da un intervento di prepotenza statale l’obbligo di Casa-famiglia per adolescenti che esprimono le loro preferenze in modo chiaro e netto, racconta Clelia Delponte, ma siccome scelgono la madre non sono ascoltati.
Dove sono finiti i diritti del minore, quando viene sottoposto a un Tso mascherato e soprattutto privo di legittimazione specifica? È la prova, dice Morresi, che non è il minore a interessare la filiera istituzionale in cui lo psico-investigatore, alias Ctu psicologico, fa la parte del leone. Anche per conto di altri, come il giudice. È nel momento in cui viene trasferito in Casa-famiglia quasi sempre su richiesta del padre, aggiunge Flavia Landolfi che il minore subisce «una privazione della libertà personale». Vi piace un paese così?
Vi piace un paese in cui, a un bimbo la cui madre denuncia abusi su di lui, viene risposto con un trattamento a volte farmacologico perché si convinca che per il suo bene deve eliminare quella madre dalla sua realtà, dalle sue relazioni, dai suoi sogni, e che gli abusi sono soltanto sue invenzioni? Se non ci credete, basterà il capitolo di Emanuela Valente a togliervi i dubbi.

PER CONCLUDERE, torniamo alle parole di Tavella: «La lotta delle madri private dei figli sulla base di una perizia di parte è un’autentica lotta femminista come non ne vedevamo da molti anni. Popolare, trasversale alle classi sociali e agli schieramenti politici, autorganizzata, estremamente radicale, basata su una condizione reale, su un’oppressione concreta e su una questione di vita o di morte».
Il libro è frutto del lavoro di dieci autrici: Clelia Delponte, Franca Giansoldati, Flavia Landolfi, Silvia Mari, Assunta Morresi, Monica Ricci Sargentini, Nadia Somma, Paola Tavella, Emanuela Valente e Livia Zancaner (prefazione di Francesca Ceroni, postfazione di Monica Lanfranco).

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