Quando la letteratura è sublimazione di una splendida follia
Narrativa «Il pericolo di essere sana di mente» di Rosa Montero che oggi sarà ospite del festival Pordenonelegge
Narrativa «Il pericolo di essere sana di mente» di Rosa Montero che oggi sarà ospite del festival Pordenonelegge
Brillante giornalista che in oltre cinquant’anni di carriera ha realizzato inchieste memorabili e almeno duemila interviste, oltre a scrivere innumerevoli articoli ed editoriali per El País – parte dei quali raccolti di recente in Cuentos Verdaderos (Alfaguara, 2024) –, Rosa Montero è popolarissima in Spagna, e non solo. In molti paesi europei, compresa l’Italia, la si conosce infatti come autrice eclettica che ha sfiorato tutti i generi, dal romanzo psicologico al poliziesco al fantastico al noir alla fantascienza, reinterpretandoli in modo personale e prestando speciale attenzione al disegno dei personaggi femminili.
Una scrittura ironica, coinvolgente e diretta, la sua, che a volte ha deviato dal romanzo vero e proprio per sottoporre ai lettori testi ibridi come La pazza di casa (Salani, 2005) o La ridicola idea di non vederti più (Ponte alle Grazie, 2009) e, soprattutto, come il nuovissimo Il pericolo di essere sana di mente (Ponte alle Grazie, pp. 320, e.19), appena uscito nella vivace traduzione di Bruno Arpaia.
FRA QUESTI TRE «artefatti letterari» (così li definisce Montero), l’ultimo è senz’altro il più curioso e inclassificabile, tanto da far venire in mente che, se avesse potuto leggerlo, Wisława Szymborska lo avrebbe inserito nella sua meravigliosa rubrica intitolata «Letture facoltative», apparsa per anni sulla rivista Życie Literackie e dedicata ai libri più eterogenei, quelli che non si sa bene dove collocare e la cui esistenza contribuisce all’infinita libertà di cui gode il lettore, cui spetta stabilire le regole del gioco «obbedendo soltanto alla propria curiosità».
Libertà e curiosità che Montero, lettrice inarrestabile prima ancora che giornalista o romanziera, qui dispiega ampiamente, combinando l’intento saggistico con la narrativa, le vite di grandi scrittori e artisti e le sue vicende personali, e mescolando riflessioni rapide e acute sulla memoria, il genere, l’infanzia, la vecchiaia, la morte e l’identità con infiniti aneddoti, notizie spicciole e bizzarre, citazioni colte (il titolo stesso è una citazione tratta da una poesia di Emily Dickinson), suggestioni divulgative. Un libro che è molti libri allo stesso tempo, agile e disinibito, fondato sulla confortante affermazione che la normalità è una costruzione statistica nei cui parametri non rientra praticamente nessuno, e sulla constatazione che, se non vengono represse o rinnegate, la cosiddetta «stranezza», l’autentica eccentricità, la consapevolezza che essere diversi è non solo lecito, ma anche salutare, sono una sorta di presidio contro la malattia mentale.
IN PRIMA PERSONA e rivolgendosi direttamente al lettore, interpellato con un familiare «tu», Moreno indaga sul legame tra creatività e follia, sulla mente degli artisti e degli scrittori, su come sono nati i suoi libri e quelli altrui, su che cosa significa vivere con un piede nella realtà e uno nel mondo parallelo della letteratura, sul modo in cui l’esercizio dell’immaginazione e della scrittura modifica la nostra vita, la stravolge o la salva. E lo fa innanzitutto raccontando storie e rifacendosi, oltre che alla propria esperienza di vita, a testimonianze, lettere, diari, autobiografie e biografie – quelle di Sylvia Plath, Emily Dickinson e Janet Frame acquistano, nel libro, uno spazio e un’ importanza significativi –, senza per questo privarsi dell’apporto di psicanalisi, psichiatria e neuroscienze, ma evitando di assegnare alle indagini cliniche il ruolo di primo piano che hanno in La donna che trema di Siri Hustved (Einaudi 2011), citato da Montero, ma in un certo senso agli antipodi di questo amabile, avvincente e un po’ arruffato Il pericolo di essere sana di mente.
Un certo spazio è concesso – e non poteva essere altrimenti – anche alla finzione, grazie al ripetuto affiorare dell’immaginaria figura di Barbara, ovvero l’Altra, una donna bellissima che si spaccia per Montero, prende appuntamenti e impegni di lavoro a suo nome, le invia piccoli doni e le lascia, infine, una sorta di sorprendente (e promettente) eredità. Un personaggio, insomma, che serve all’autrice per confermare il proprio punto di vista sulla fragilità del reale, assimilato a un miraggio pronto a mutare o a svanire in qualsiasi momento. E, se la realtà è un telone di fondo che rischia di strapparsi, se l’esistenza è un caos o «un’assurda agitazione», quale modo migliore per sublimare la follia inventandosi una storia, scrivendo un romanzo e creando, dice Montero, «una piccola isola di significato nel mare del disordine»?
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