Quando la casa è un diritto per bianchi
Cinema «Not in My Neighbourhood» di Kurt Orderson, documentario su razzismo e classismo della gentrificazione girato fra San Paolo, Cape Town e New York
Cinema «Not in My Neighbourhood» di Kurt Orderson, documentario su razzismo e classismo della gentrificazione girato fra San Paolo, Cape Town e New York
La politica, la cultura, le parole ma anche la stessa struttura delle città, e il suo mutare, riflettono un sistema di prevaricazione su base classista e razziale. «Tutte le nostre lotte sono una sola», dice infatti un attivista di Brooklyn alle telecamere di Kurt Orderson, regista del documentario Not in My Neighbourhood presentato in questi giorni all’Ortigia Film Festival di Siracusa, che indaga proprio la gentrificazione in atto in tre diverse parti del mondo – Sudafrica, Brasile, Stati Uniti – tutte accomunate dalla sopraffazione nei confronti dei neri e dei più poveri.
La città da cui si parte è quella originaria del regista – Cape Town, in Sudafrica – dove un intero quartiere popolare è stato addirittura raso al suolo tra gli anni ’60 e ’70 dal regime dell’apartheid, teoricamente per far posto ad abitazioni per i bianchi – ma da oltre cinquant’anni non è che un campo vuoto circondato da strade a scorrimento veloce. È il District 6, il luogo a cui era ispirato il film di fantascienza District 9 di Neill Blomkamp in cui la violenza esercitata dagli esseri umani sugli alieni replicava quella dell’apartheid sulla popolazione nera.
Dal District 6 viene uno dei molti residenti che Orderson incontra per il suo film: cacciato dalla casa dove abitava con la famiglia quando non era che un adolescente, ora – a più di 50 anni di distanza – vive in un altro quartiere dal quale rischia lo sfratto imminente, Woodstock. Lì i proprietari di un mercatino alla moda, anche luogo di ritrovo per i ragazzi di tutta la città – il Biscuit Mill – vogliono fare in modo che i residenti lascino le loro case per costruire un parcheggio per i clienti del mercato.
I metodi sono gli stessi impiegati a Brooklyn (New York), altro quartiere in piena gentrificazione: i proprietari degli edifici in combutta con gli affaristi intimidiscono i residenti tagliando luce e gas, rendendosi irreperibili quando arriva l’avviso di sfratto , offrendo pochi soldi in cambio di una nuova residenza – in posti progressivamente più lontani dal cuore sempre più bianco e ricco della città.
Nelle sequenze dedicate a NY, contro la gentrificazione risuona la voce fuori campo di Spike Lee, che nella serie tv remake del suo Lola Darling ha eletto proprio la resistenza al vampirismo delle agenzie immobiliari a Brooklyn a coprotagonista della storia insieme alla sua eroina.
Le riprese di Not in My Neighbourhood sono durate più di quattro anni: a Brooklyn incontriamo infatti alcuni dei protagonisti del documentario prima ancora che Trump venisse eletto presidente. Tra loro una parrucchiera di origini eritree gestisce uno dei negozi più «antichi» del quartiere: ha ricevuto una notifica di sfratto che le intima di lasciarlo entro trenta giorni – al suo posto probabilmente sorgerà uno Starbucks. A differenza di commentatori, giornalisti e della quasi interezza della classe politica è certa che sarà Trump a occupare la Casa bianca: nel quartiere dal quale sta per venire suo malgrado strappata per sempre vede tutti i segni rivelatori di un futuro certo – quello che si è poi puntualmente avverato.
Non a caso in quelle strade la lotta contro la gentrificazione si intreccia senza soluzione di continuità con quella contro la violenza della polizia: molti degli attivisti che cercano di organizzare la resistenza del quartiere sono impegnati anche nell’associazione di volontari Cop Watch, che pattuglia le strade per testimoniare e prevenire la violenza dei poliziotti bianchi contro i cittadini neri.
In Brasile invece – dove l’associazione The MTST occupa gli edifici disabitati per dare un tetto a chi non ce l’ha, oggi più che mai a rischio per i progetti di gentrificazione del nuovo governo di Michel Temer – gli abitanti di un palazzo occupato di San Paolo hanno installato un sistema di telecamere a circuito chiuso: è stato l’unico modo per fermare le aggressioni continue dei poliziotti all’interno delle loro stesse case. Come a Cape Town e New York, la violenza dello Stato nei loro confronti si manifesta nello stesso volto di una città che non li vuole.
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