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Quando Krugman iniziò a parlare di «mezzogiornificazione» d’Europa

Quando Krugman iniziò a parlare  di «mezzogiornificazione» d’EuropaIl premio Nobel dell'economia Paul Krugman

Il dibattito Le conseguenze anche nel bollettino economico della Banca Centrale Europea. Oggi il dualismo economico tra Nord e Sud Italia si è allargato al Nord e Sud Europa. L'analisi degli economisti Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 31 luglio 2015

È stato il premio Nobel dell’economia Paul Krugman a parlare per la prima volta di «mezzogiornificazione» dell’Europa nel 1991 nel libro «Geografia e commercio internazionale». Il dualismo economico che ha segnato i rapporti tra Nord e Sud Italia si è allargato a quello tra i paesi del Nord e del Sud dell’Europa e all’interno di tutti i paesi, a cominciare della Germania, unificata, ma divisa ancora tra un Ovest e un Est. Gli economisti italiani Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo hanno ripreso questa categoria in uno studio del 2008, intitolato «L’Europa è a rischio “mezzogiornificazione». Il dibattito continua intensissimo a proposito delle varie ipotesi sull’uscita dall’euro, delle sue conseguenze sui salari e in generale sull’implosione dell’Eurozona.

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Leggi: rapporto Svimez: Disastro al Sud, la nostra Grecia

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Echi si ritrovano nel rapporto 2015 dello Svimez sul Mezzogiorno (italiano) dove al rapporto asimmetrico tra il centro (in sostanza la Germania) e le periferie (i paesi dell’Europa del Sud) se ne aggiunge un altro: quello tra Sud e Est europeo integrato nell’Eurozona. «Dal 2001 al 2013 la crescita del Pil considerato in potere di acquisto (Ppa) è stato un quinto inferiore di quella delle regioni deboli dei nuovi paesi dell’Est. Nei primi cinque anni della crisi, 2008-2013, il Pil è aumentato del 4,5% nelle aree più forti («regioni della competitività») ed è diminuito dell’1,1% in quelle più deboli (quelle della «convergenza») che all’inizio avevano un reddito pro-capite inferiore al 75%. Prima della crisi, dal 2001 al 2007, le regioni più deboli avevano registrato una convergenza crescendo del 39,6%, più delle aree forti (+31,3%). È accaduto in Spagna, mentre in Germania si è registrata una maggiore omogeneità.

L’Italia fa storia a parte. Sud e Centro-Nord crescevano prima della crisi con il 19% e il 21,8%, poi il crollo: +0,6% il Centro-Nord, -5,1%. Le asimmetrie si sono aggravate con l’allargamento a Est. Il Sud ha sofferto la concorrenza del dumping fiscale. Tra il 2000 e il 2013 l’Italia è stato il paese che è cresciuto di meno in termini di Pil in Ppa: +20,6% contro il 37,3% dell’Eurozona a 18. Il Sud è cresciuto oltre 40 punti in meno della media delle regioni di convergenza dell’Europa a 28 (+53,6%). A una conclusione simile è arrivata la Bce nel bollettino economico di maggio 2015: l’Italia «ha registrato i risultati peggiori» sulla crescita del Pil procapite tra quelli che hanno adottato l’euro fin dall’inizio». La richiesta Bce è aumentare la flessibilità nei mercati dei beni e servizi e del lavoro. Per gli economisti italiani (e Krugman) è l’opposto. Per loro è fallito il modello economico per cui la produttività e la crescita dipendono dal contenimento del costo del lavoro. Questi paesi hanno invece bisogno di politiche industriali.

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