Fu una scelta emotiva e razionale assieme, com’era nel suo carattere. Era nato a Santiago di Cuba, dove suo padre Mario e la madre Eva Mameli, persone di scienza, si erano trasferiti, a due anni si ritrovò a Sanremo. Da partigiano, seconda divisione d’assalto delle Brigate Garibaldi, non avrebbe potuto scegliere altro nome di battaglia: Santiago.

NEL CENTENARIO della nascita di Italo Calvino al mare magnum di uscite che affrontano la sua articolata, spesso labirintica storia intellettuale (vedi l’approfondimento di Niccolò Maffai su Alias del 4 giugno) si aggiunge anche un libro prezioso di Daniela Cassini e Sarah Clarke Loiacono, con contributi anche di Vittorio Detassis, Massimo Novelli, Manuele Ormea, Italo Calvino / Il partigiano Santiago (Fusta editore, pp. 205, euro 18,50). Sostanziosa mobilitazione di forze per rintracciare quasi ogni dettaglio esistente sulla intensa vicenda partigiana nel Ponente ligure di Italo Calvino, dispersa nei rivoli di mille fogli d’archivio. Materiali ora raccordati in una narrazione fresca che illumina di nuova luce l’ariostesca leggerezza del romanzo sulla resistenza di Calvino, Il Sentiero dei nidi di ragno da un lato, e dall’altro la crepitante, scabra durezza che scaturisce dai primi racconti partigiani di Ultimo viene il corvo.

NEL DICEMBRE del 1957, rispondendo per scritto a Enzo Maizza nel dibattito de La Discussione sulla «giovane narrativa», quella scaturita dall’agglutinarsi di forze letterarie nuove e fresche dopo l’epilogo della repubblica nera, Calvino afferma che «la Resistenza lo ha messo al mondo, anche come scrittore», e poco più avanti, «tutto quello che scrivo e penso parte da quell’esperienza». Sono dichiarazioni tanto impegnative e chiare quanto forse poco riconsiderate, nella complessa stratigrafia letteraria calviniana.

Ribadite ancora nel 1985, il suo ultimo anno di vita, rispondendo ad Alexander Stille: «La guerra e la Resistenza ebbero su di me un effetto importantissimo. Prima di allora volevo scrivere, ma sentivo di non poterlo fare perché non avevo avuto alcuna esperienza».

ECCO ALLORA DIPANARSI nel libro la storia drammatica della chiamata obbligatoria alla leva dei repubblichini, e quella campagna poi rammentata ne La Strada per San Giovanni, dove aveva i terreni il padre, che diventa nascondiglio per lui e il fratello, poi partigiano come Italo «Santiago».

L’approdo nelle fila del Partito comunista clandestino, l’amicizia con la fine intellettuale Lina Meiffret, la «prima partigiana» finita in un campo di concentramento. E poi l’arresto dei genitori, le finte fucilazioni per farli parlare, l’arruolamento coatto, la fuga avventurosa durante un trasferimento, infine l’approdo nella brigata partigiana, su per i monti di Bajardo, nell’entroterra sanremasco e imperiese, a portare casse di munizioni che segavano le spalle, a vedere morire ragazzi come lui che avevano fatto una scelta etica non negoziabile.

Si legge con una sorta di bruciante urgenza, il fuoco di fila di dati presentati nel Partigiano Santiago, ma ancora più notevole è che una buona metà del libro sia occupata da un eccezionale materiale documentario trovato negli archivi, spesso inedito.

SI TRATTA DI FOTOGRAFIE, documenti partigiani del Corpo Volontari della Libertà, abbozzi di racconti battuti a macchina o scritti a mano in una minuta e ordinata calligrafia, lettere e articoli di pugno di Italo Calvino usciti su Il Garibaldino, il settimanale della divisione partigiana «Felice Cascione» e su La voce della libertà. Come ha scritto Marino Magliani: «Il Calvino partigiano non c’era. E ora, usando parole sue per altri libri, c’è Santiago, il Partigiano Calvino».