Un video del Pentagono, inviato nel 1994 a tutti gli stati della Nato, spiegava gli effetti nocivi dell’uranio impoverito sulla salute dei soldati esposti, raccomandando di ridurne l’uso. Il documento è stato al centro del simposio internazionale Conseguenze del bombardamento della Repubblica federale jugoslava con uranio impoverito nel 1999, che si è svolto lunedì e martedì scorso a Nis, cittadina a sud di Belgrado bombardata durante la guerra.

A MOSTRARE IL VIDEO è stato l’ex pilota italiano Domenico Leggero, responsabile dell’Osservatorio militare. Il team legale internazionale della Serbia, entro la fine dell’anno, presenterà la prima causa per danni ai cittadini della Serbia che hanno sviluppato il cancro dopo essere stati esposti all’uranio impoverito usato dalla Nato. Agli stati responsabili verrà chiesto il risarcimento dei danni e il pagamento di un trattamento sanitario di qualità sia in Serbia che all’estero.

«Abbiamo la prova incontrovertibile che, soprattutto nel sud, a causa dell’utilizzo di quel tipo di munizioni c’è stato un aumento della mortalità dei cittadini e che l’ambiente è fortemente inquinato – ha spiegato Srdjan Aleksic, a capo del pool di avvocati -. Il rapporto della Quarta commissione parlamentare italiana, così come la giurisprudenza di quel paese, rappresentano per la Serbia una forza in più perché in Italia i partecipanti a missioni militari internazionali possano ottenere risarcimenti da 200mila a 500mila euro».

IL MINISTERO DELLA DIFESA italiano è stato costretto a risarcire i danni in 80 casi. Dopo tre commissioni parlamentari andate a vuoto, la Quarta a luglio 2017 ha stabilito una connessione tra l’esposizione all’uranio impoverito e i tumori, attestandone gli effetti nocivi anche sul territorio in Italia e all’estero.

LA RELAZIONE DENUNCIA: «L’inammissibile ritardo con il quale vengono effettuati i monitoraggi ambientali e persino le scarse conoscenze, ammesse dagli stessi vertici militari responsabili del coordinamento delle missioni, circa l’uso in tali contesti di armamenti pericolosi anche da parte di paesi amici, fanno emergere un quadro che evidenzia l’esposizione a numerose situazioni di rischio non adeguatamente poste sotto controllo». Per poi accusare i vertici: «Si è diffuso un senso d’impunità, l’idea che le regole si potevano e si possono violare senza incorrere in effettive responsabilità».

Leggero ha spiegato: «L’obiettivo di questo comitato è la giustizia per tutte le vittime, così come l’attuazione della prevenzione tra i soldati italiani che continuano ad andare in missioni di pace nei territori contaminati. La Commissione italiana ha presentato al Parlamento europeo il progetto di legge per la compensazione alle persone gravemente malate dopo l’esposizione all’uranio impoverito e per l’assistenza dei cittadini che risiedono nel zone contaminate». A Nis, infatti, sono stati analizzati anche i dati ricavati da altre aree di guerra come l’Iraq, l’Afghanistan e la Bosnia.

IL MESE SCORSO l’ultimo decesso tra i militari italiani esposti alle radiazioni: Giuseppe De Biasi, caporal maggiore dell’esercito, era stato in Bosnia nel 1999, in Kosovo nel 2003 e in Afghanistan nel 2009. È la vittima n° 359 ma, spiega Leggero, «per la Difesa non farà parte di quei militari che si sono ammalati per cause di servizio».

IL COMANDANTE DELLA KFOR – Forza Nato in Kosovo, Salvatore Cuoci, ha liquidato la questione: «Una commissione Nato ha indagato sul tema nel 2001 arrivando alla conclusione che non esiste alcun collegamento fra i bombardamenti e i casi di cancro». Eppure Gianluca Danise, morto di tumore nel 2015, veterano del Kosovo, Afghanistan e Iraq, raccontava: «Vedevamo gli americani e ci chiedevamo perché girassero bardati a quel modo. Sembravano marziani. Avevano attrezzature per maneggiare i materiali di cui noi non disponevamo. Pensavamo fossero loro a esagerare».