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Quando il lupo abiterà coll’agnello: Mircea Cantor

Da «Deeparture» (2005)Da «Deeparture» (2005)

Cristalli liquidi «Deeparture» (2005), film 16mm a colori e muto dell’artista romeno Mircea Cantor

Pubblicato circa un mese faEdizione del 8 settembre 2024

Può sorprendere la mancanza del lupo dal nostro campo visivo e letterario. Al centro delle umane vicende per secoli, Canis lupus è stato, tra i grandi predatori, il protagonista assoluto delle rappresentazioni e delle storie più chimeriche e terrificanti.

Tuttavia chi, preso da curiosità lupina, si reca oggi in libreria, troverà materiale solo nel settore dei ragazzi; e persino in quello sugli animali o sull’etologia avrà vita dura davanti al dominio assoluto di cani e gatti. Della bestia antropofaga come quella di Gévaudan, dell’animale crudele dei bestiari capace di rendere muto un uomo col solo sguardo, del lupo mannaro resta solo il peluche da coccolare.

Che le cose stiano così lo dimostra, ad esempio, Il Lupo. Una storia culturale dello storico medievale Michel Pastoureau (Ponte alle Grazie 2018, uscito in Francia lo stesso anno), le cui pubblicazioni portano l’attenzione sui colori e sugli animali. Dopo capitoli avvincenti, l’ultimo sul XX secolo si limita a passare in rassegna i libri per l’infanzia a partire da Mowgli, il bambino allevato dai lupi nel Libro della giungla.

Non sorprende che il lupo abbia disertato anche l’arte contemporanea, nonostante rare ma sorprendenti eccezioni, come la lupa che Jackson Pollock dipinse nel 1943, forse in riferimento al mito di fondazione di Roma. Deeparture (2005) è un film 16mm a colori e muto della durata di quasi tre minuti dell’artista romeno Mircea Cantor.

Un lupo accovacciato si sveglia in uno spazio chiuso e spoglio, quello della galleria Yvon Lambert a Parigi; nella scena successiva compare un’altra figura animale altrettanto allucinata, una femmina di cervo (deer in inglese, suggerito dal gioco di parole del titolo). Non solo: preda e predatore condividono lo stesso spazio artificiale del white cube, circolando senza meta in questa superficie piana senza protezioni, indecisi sul da farsi.

La loro coabitazione ci sorprende, là dove ci aspetteremmo di assistere a un inseguimento: la cerva non sembra preoccupata dalla presenza del predatore, a sua volta indifferente. Il lupo sbadiglia, la cerva fissa il vuoto. Che abbiano perduto i loro istinti d’attacco e di fuga (dove andare del resto?), addomesticati o anestetizzati dal cubo bianco della galleria? Ma le immagini mostrano anche il loro respiro, da cui sembra trasparire una tensione tenuta a freno.

Di certo, in assenza del suono, è difficile interpretare le loro vere intenzioni al di là di una generica alienazione. Facile ridurre l’animalità a un grado basso e confuso del nostro sentire. In realtà delle favole alla Esiodo o a La Fontaine restano solo i protagonisti, in quanto nessuna storia è raccontata, nessuna morale è trasmessa.

Deeparture potrebbe finire con la morte della cerva o con una nuova alleanza tra i viventi, chissà; Cantor lascia lo spettatore in balia delle sue incertezze, mentre sorveglia i due animali come da una telecamera a distanza.

Opera sulla coabitazione possibile tra diverse forme di vita animale? Denuncia sottile delle nostre condizioni di vita simili a quelle di una bestia in cattività? Derisione del milieu ombelicale dell’arte contemporanea, gabbia dorata di uno zoo spettacolare? Affondo sulla nostra incapacità a concepire e a sentire la natura selvaggia? Di sicuro vediamo un lupo e una cerva che, tradendo ogni attesa dettata dalla nostra cultura e, nello specifico, dalla tradizione venatoria, si acclimatano reciprocamente alla loro presenza.

Se qualcuno può considerarlo come la realizzazione del celebre passo di Isaia, dove profetizza il tempo in cui il lupo abiterà con l’agnello, qualcosa d’irrisolto aleggia nell’aria. È perlomeno l’aspetto che interessa Cantor il quale, con Deeparture, intende costruire una tensione nell’immagine attraverso la coesistenza di due opposti, «come se avessi un arco e continuassi a tenderlo».

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