Cultura

Quando il cinema racconta il lavoro. E chi lo ha perso

Quando il cinema racconta il lavoro. E chi lo ha persoIl regista Ken Loach

Scaffale "La dissolvenza del lavoro, crisi e disoccupazione attraverso il cinema", di Emanuele Di Nicola per Ediesse, una sorta di dizionario che attraversa i generi e le epoche: dai fratelli Lumière a Ken Loach

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 30 luglio 2019

Come Novecento di Bertolucci ha mostrato al mondo i primi scioperi agrari, così Ken Loach oggi ci spiega il neoliberismo e le sue conseguenze. Il cinema è ancora il mezzo più potente per descrivere la realtà, decriptarla, renderla storia di tutti i giorni.

GLI ORMAI UNDICI ANNI passati dallo scoppio della crisi hanno modificato anche il binomio storicamente fortificato «cinema e lavoro», sorto fin dalla prima scena dei fratelli Lumière, L’uscita dalle officine.
Emanuele Di Nicola, giovane critico cinematografico e redattore di Rassegna (sindacale), ha voluto raccontare il paradossale ritorno al lavoro di molti registi nel tempo in cui «il lavoro è venuto a mancare». Nel suo La dissolvenza del lavoro, crisi e disoccupazione attraverso il cinema (Ediesse, pp. 152, euro 14) troviamo raccontato tutto questo processo svariando per nazioni, cineasti e argomenti. Un vero glossario che spazia dai capolavori imperdibili come Due giorni, una notte dei fratelli Dardenne con Marion Cotillard a film meno conosciuti ma ugualmente importanti come L’esodo di Ciro Formisano sulla tragedia degli esodati post riforma Fornero.

Un viaggio tra pellicole italiane e estere che tocca ogni sfaccettatura della crisi: dalla disoccupazione più feroce dello spagnolo I lunedì al sole al lavoro dei manager, dei tagliatori di teste o di personaggi nati «grazie» alla crisi come il Valerio Mastrandrea di La felicità è un sistema complesso di Gianni Zanasi.

SE IL TEMA CENTRALE – la crisi – si presta ovviamente al genere drammatico, il cinema riesce a giocare con gli spartiti e proporre commedie come quel Full Monty che ha riportato gli operai siderurgici a trionfare nell’Inghilterra neo-blairiana o in Smetto quando voglio che è addirittura diventato una trilogia, commedia amara nel solco di Tutta la vita davanti. Il precariato è naturalmente elemento centrale specie quando s’allarga all’intera esistenza familiare come ne Gli equilibristi per l’universo maschile o in Sole, cuore, amore per quello femminile.

Di Nicola, come da sua formazione professionale, è abile a mescolare il linguaggio cinematografico con l’analisi sociale riconsegnando a ogni film una sua valenza più profonda che spesso sorprende anche chi ha amato la pellicola e la storia raccontata.

SE KEN LOACH è giustamente citato come «maggior cineasta vivente sul tema del lavoro», il libro dà la possibilità di scoprirne molti nuovi e giovani che con la loro soggettività raccontano «il connotato che più identifica l’individuo»: quel lavoro che è sempre più povero e stropicciato di diritti e dignità.

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